Nella loro umana primi studi di fattibilità di utilizzare i segnali del cervello per funzionare dispositivi esterni, i ricercatori della Duke University Medical Center di relazione che gli array di elettrodi in grado di fornire segnali utilizzabili per il controllo di tali dispositivi. Il team di ricerca sta lavorando per sviluppare dispositivi prototipo che può consentire alle persone paralizzate per operare "neuroprosthetic" e altri dispositivi esterni utilizzando solo i propri segnali cerebrali.Da Duke University: Human Show Studi di fattibilità di interfacce cervello-macchina
martedì 28 dicembre 2010
Un gene per il comportamento impulsivo grave | Le Scienze
Un gene per il comportamento impulsivo grave
La mutazione scoperta è a carico del gene HTR2B che codifica per un tipo di recettore per la serotonina, un neurotrasmettitore in grado d'influenzare molti comportamenti, tra cui l'impulsività
Una variante genetica di un recettore del cervello umano può contribuire al comportamento impulsivo violento sotto l'influenza dell'alcol: è quanto hanno scoperto i ricercatori del National Institutes of Health (NIH) che descrivono il risultato in un articolo pubblicato sulla rivista Nature.
“L'impulsività, o 'tendenza all'azione senza previsione', compare in molti comportamenti patologici, tra cui il suicidio, l'aggressività patologica e le dipendenze”, ha commentato David Goldman, direttore del Laboratory of Neurogenetics del National Institute on Alcohol Abuse and Alcoholism (NIAAA) dei NIH. “Ma si tratta anche di un tratto di grande valore conservativo per l'individuo quando occorre prendere decisioni tempestive in situazioni ad alto rischio."
In quest'ultima ricerca, i ricercatori hanno studiato un campione di questi soggetti impulsivi in Finlandia, in cui vive tutt'ora una popolazione con una storia genetica unica.
“La maggiore parte dei finlandesi deriva da un ristretto numero di coloni originari, una circostanza che diminuisce la complessità della ricerca sulle cause della patologia nel paese”, ha continuato Goldman. “Studiando la genetica dei soggetti che hanno commesso crimini violenti si aumenta così la probabilità di trovare geni in grado d'influenzare il comportamento impulsivo.”
I ricercatori hanno sequenziato il DNA dei soggetti impulsivi e hanno confrontato i dati raccolti con sequenze analoghe di soggetti normali, che costituivano il gruppo di controllo. Da ciò si è scoperto che una singola variazione, che blocca un gene noto come HTR2B, è un fattore predittivo di comportamento impulsivo. L'HTR2B codifica per un tipo di recettore per la serotonina presente nel cervello. Una parziale conferma del dato è il fatto che la serotonina è un neurotrasmettitore in grado d'influenzare molti comportamenti, tra cui l'impulsività.
“L'aspetto interessante è che da sola la mutazione genetica non può causare questo tipo di comportamento”, ha sottolineato Goldman. “I portatori di tale mutazione a carico del gene HTR2B che hanno commesso crimini da comportamento impulsivo erano maschi ed erano tutti diventati violenti solo dopo ave consumato alcol, che di per sé porta a un calo delle inibizioni dei comportamenti”.
lunedì 27 dicembre 2010
mercoledì 22 dicembre 2010
martedì 21 dicembre 2010
domenica 19 dicembre 2010
Cooliris for Developers | Documentation - How to Embed
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venerdì 17 dicembre 2010
giovedì 16 dicembre 2010
martedì 7 dicembre 2010
martedì 21 settembre 2010
lunedì 20 settembre 2010
browsernik - E-.Skin
browsernik - E-.Skin
E-skin, vale a dire una pelle artificiale sensibile al tatto fatta di nanofili semiconduttori. Si presenta così il nuovo materiale elettronico sviluppato nei laboratori della University of California di Berkeley. È la prima volta che un tessuto elettronico capace di percepire la pressione è formato unicamente da semiconduttori inorganici, come raccontano i ricercatori su Nature Materials.
Finora i tentativi di creare in laboratorio un materiale equiparabile alla pelle si sono concentrati sull'utilizzo di materiali organici, soprattutto alla luce della loro flessibilità. “Il problema di questi materiali – ha spiegato Ali Javey, autore principale della ricerca – è la loro scarsa capacità come semiconduttori, che li porta a richiedere voltaggi piuttosto elevati per far funzionare i circuiti”. Al contrario, materiali inorganici, come il silicio cristallino, hanno eccellenti proprietà elettriche, ma sono tipicamente poco flessibili e rischiano dunque di rompersi. Di recente, però, è stato dimostrato che questi materiali possono diventare estremamente flessibili se utilizzati in forma di strisce o fili miniaturizzati.
Partendo da questa osservazione, il gruppo di Berkeley ha costruito un tessuto di pelle artificiale a partire da nanofili di germanio/silicio. Gli ingegneri hanno stampato i nanofili semiconduttori su una matrice quadrata di 7 centimetri formata da 342 quadratini, dove ciascun quadratino è composto da centinaia di nanofili. Così strutturata, la matrice opera ad un voltaggio inferiore ai 5 Volt, è sensibile a una pressione di 0-15 kilopascal (per comparazione, cento kPa è la pressione atmosferica a livello del mare) e resta intatta anche se sottoposta a flessione per oltre 2.000 volte.
Le principali possibili applicazioni della ricerca si hanno nella robotica. La e-skin, infatti, consentirebbe di superare una delle sfide più difficili in questo campo, vale a dire realizzare macchine capaci di regolare la loro forza in base all'oggetto con cui devono interagire. A lungo raggio, i ricercatori vorrebbero usare la e-skin per restituire il senso del tatto a persone con protesi. Per arrivare a tanto, tuttavia, sono necessari significativi progressi nell'integrazione tra sensori elettronici e sistema nervoso. “Al momento attuale – hanno spiegato gli autori – il problema principale è sviluppare un sistema più grande di matrici di pelle artificiale”.
E-skin, vale a dire una pelle artificiale sensibile al tatto fatta di nanofili semiconduttori. Si presenta così il nuovo materiale elettronico sviluppato nei laboratori della University of California di Berkeley. È la prima volta che un tessuto elettronico capace di percepire la pressione è formato unicamente da semiconduttori inorganici, come raccontano i ricercatori su Nature Materials.
Finora i tentativi di creare in laboratorio un materiale equiparabile alla pelle si sono concentrati sull'utilizzo di materiali organici, soprattutto alla luce della loro flessibilità. “Il problema di questi materiali – ha spiegato Ali Javey, autore principale della ricerca – è la loro scarsa capacità come semiconduttori, che li porta a richiedere voltaggi piuttosto elevati per far funzionare i circuiti”. Al contrario, materiali inorganici, come il silicio cristallino, hanno eccellenti proprietà elettriche, ma sono tipicamente poco flessibili e rischiano dunque di rompersi. Di recente, però, è stato dimostrato che questi materiali possono diventare estremamente flessibili se utilizzati in forma di strisce o fili miniaturizzati.
Partendo da questa osservazione, il gruppo di Berkeley ha costruito un tessuto di pelle artificiale a partire da nanofili di germanio/silicio. Gli ingegneri hanno stampato i nanofili semiconduttori su una matrice quadrata di 7 centimetri formata da 342 quadratini, dove ciascun quadratino è composto da centinaia di nanofili. Così strutturata, la matrice opera ad un voltaggio inferiore ai 5 Volt, è sensibile a una pressione di 0-15 kilopascal (per comparazione, cento kPa è la pressione atmosferica a livello del mare) e resta intatta anche se sottoposta a flessione per oltre 2.000 volte.
Le principali possibili applicazioni della ricerca si hanno nella robotica. La e-skin, infatti, consentirebbe di superare una delle sfide più difficili in questo campo, vale a dire realizzare macchine capaci di regolare la loro forza in base all'oggetto con cui devono interagire. A lungo raggio, i ricercatori vorrebbero usare la e-skin per restituire il senso del tatto a persone con protesi. Per arrivare a tanto, tuttavia, sono necessari significativi progressi nell'integrazione tra sensori elettronici e sistema nervoso. “Al momento attuale – hanno spiegato gli autori – il problema principale è sviluppare un sistema più grande di matrici di pelle artificiale”.
sabato 18 settembre 2010
CIBERNIX - Frustrazione ciibernetica
CIBERNIX - Frustrazione ciiberneticaLa Stanza cinese è un esperimento mentale ideato da John Searle. Esso è un controesempio della teoria dell'intelligenza artificiale forte. Alla base del ragionamento di Searle è che la sintassi (grammatica) non è equivalente alla semantica (significato).
Searle presentò l'argomentazione della Stanza cinese nel suo articolo "Minds, Brains and Programs" (Menti, cervelli e programmi) pubblicato nel 1980 dalla rivista scientifica Behavioral and Brain Sciences (e in lingua italiana da Le Scienze)[1]. Da allora, è stato un pilastro del dibattito sull'ipotesi chiamata da Searle intelligenza artificiale forte.
I sostenitori dell' intelligenza artificiale forte sostengono che un computer opportunamente programmato non sia solo la simulazione o un modello della mente, ma che esso possa essere una mente. Esso cioè capisce, ha condizioni conoscitive e può pensare. L'argomento di Searle (o meglio, l'esperimento mentale) si oppone a questa posizione. L'argomentazione della stanza cinese è la seguente:
Si supponga che, nel futuro, si possa costruire un computer che si comporti come se capisse il cinese. In altre parole, il computer prenderebbe dei simboli cinesi in ingresso, consulterebbe una grande tabella che gli consenta di produrre altri simboli cinesi in uscita. Si supponga che il comportamento di questo computer sia così convincente da poter facilmente superare il test di Turing. In altre parole, il computer possa convincere un uomo che parla correttamente cinese (per esempio un cinese) di parlare con un altro uomo che parla correttamente cinese, mentre in realtà sta parlando con un calcolatore. A tutte le domande dell'umano il computer risponderebbe appropriatamente, in modo che l'umano si convinca di parlare con un altro umano che parla correttamente cinese. I sostenitori dell'intelligenza artificiale forte concludono che il computer capisce la lingua cinese, come farebbe una persona, in quanto non c'è nessuna differenza tra il comportamento della macchina e di un uomo che conosce il cinese.
Ora, Searle chiede di supporre che lui si sieda all'interno del calcolatore. In altre parole, egli si immagina in una piccola stanza (la stanza cinese) dalla quale riceva dei simboli cinesi, e una tabella che gli consenta di produrre dei simboli cinesi in uscita in modo identico a quanto faceva il programma seguìto dal calcolatore. Searle fa notare che egli non capisce i simboli cinesi. Quindi la sua mancanza di comprensione dimostra che il calcolatore non può comprendere il cinese, poiché esso è nella sua stessa situazione. Il calcolatore è un semplice manipolatore di simboli, esattamente come lo è lui nella stanza cinese - e quindi i calcolatori non capiscono quello che stanno dicendo tanto quanto lui.
Searle presentò l'argomentazione della Stanza cinese nel suo articolo "Minds, Brains and Programs" (Menti, cervelli e programmi) pubblicato nel 1980 dalla rivista scientifica Behavioral and Brain Sciences (e in lingua italiana da Le Scienze)[1]. Da allora, è stato un pilastro del dibattito sull'ipotesi chiamata da Searle intelligenza artificiale forte.
I sostenitori dell' intelligenza artificiale forte sostengono che un computer opportunamente programmato non sia solo la simulazione o un modello della mente, ma che esso possa essere una mente. Esso cioè capisce, ha condizioni conoscitive e può pensare. L'argomento di Searle (o meglio, l'esperimento mentale) si oppone a questa posizione. L'argomentazione della stanza cinese è la seguente:
Si supponga che, nel futuro, si possa costruire un computer che si comporti come se capisse il cinese. In altre parole, il computer prenderebbe dei simboli cinesi in ingresso, consulterebbe una grande tabella che gli consenta di produrre altri simboli cinesi in uscita. Si supponga che il comportamento di questo computer sia così convincente da poter facilmente superare il test di Turing. In altre parole, il computer possa convincere un uomo che parla correttamente cinese (per esempio un cinese) di parlare con un altro uomo che parla correttamente cinese, mentre in realtà sta parlando con un calcolatore. A tutte le domande dell'umano il computer risponderebbe appropriatamente, in modo che l'umano si convinca di parlare con un altro umano che parla correttamente cinese. I sostenitori dell'intelligenza artificiale forte concludono che il computer capisce la lingua cinese, come farebbe una persona, in quanto non c'è nessuna differenza tra il comportamento della macchina e di un uomo che conosce il cinese.
Ora, Searle chiede di supporre che lui si sieda all'interno del calcolatore. In altre parole, egli si immagina in una piccola stanza (la stanza cinese) dalla quale riceva dei simboli cinesi, e una tabella che gli consenta di produrre dei simboli cinesi in uscita in modo identico a quanto faceva il programma seguìto dal calcolatore. Searle fa notare che egli non capisce i simboli cinesi. Quindi la sua mancanza di comprensione dimostra che il calcolatore non può comprendere il cinese, poiché esso è nella sua stessa situazione. Il calcolatore è un semplice manipolatore di simboli, esattamente come lo è lui nella stanza cinese - e quindi i calcolatori non capiscono quello che stanno dicendo tanto quanto lui.
venerdì 17 settembre 2010
Trovi l'amore, perdi due amici scoperta l'equazione dei rapporti - Repubblica.it
Trovi l'amore, perdi due amici scoperta l'equazione dei rapporti - Repubblica.it
Dei ricercatori di Oxford hanno misurato il costo di una relazione sentimentale sulla cerchia degli affetti più cari. Quando ci si innamora, il network di supporto passa da cinque a tre persone. Duplicato il ruolo del partner, a meno che non spunti l'amante...
di GIULIA BELARDELLI
"NON SEI più quello di un tempo", oppure "Ti stai creando il vuoto attorno". Frasi da amici, forse un po' gelosi, che in molti si sono sentiti dire dopo l'avvento di un nuovo amore. Come insegna l'esperienza e come cantano Elio e le Storie Tese in "Servi della Gleba", spesso anche le cose più belle possono costare caro: in questo caso, la rete di amici e persone fidate pronte a gettarsi nel fuoco per noi. A tradurre in numeri il costo dell'amore sono stati dei ricercatori dell'Istituto di Antropologia Cognitiva dell'Università di Oxford, che hanno presentato il loro studio al British Science Festival di Birmingham. A quanto pare, chi trova l'amore "perde" in media due persone del cuore, un amico e persino un parente.
Il costo dell'amore. "La nostra ricerca è partita da un'osservazione molto semplice", spiega Maxwell Burton-Chellew, co-autore dello studio, a Repubblica. it. "Essere impegnati in una relazione sentimentale richiede un notevole sforzo dal punto di vista energetico e temporale. L'obiettivo era misurare, secondo le leggi della scienza, l'impatto di questo impegno sulla vita sociale". Per farlo, i ricercatori hanno passato al setaccio le relazioni di 540 persone dai 18 anni in su, con un'età media di circa 28 anni. "I risultati - aggiunge Maxwell, ricercatore presso il Dipartimento di Zoologia di Oxford - parlano chiaro: quando ci si innamora, la cerchia degli affetti più stretti perde dei pezzi. Da una media di cinque individui, si passa a quattro, di cui uno è la persona amata".
Una questione di numeri. La ricerca è stata diretta dal professor Robin Dunbar, capo dell'Istituto di Antropologia Cognitiva di Oxford, già famoso per il "numero" che porta il suo nome e autore del libro "How many friends does a person need?" ("Di quanti amici ha bisogno una persona?"). Fu lui il primo a dare un limite di "sostenibilità cognitiva" a quanti amici si possono avere su social network come Facebook: 150 e non di più. Il suo modello delle relazioni sociali, elaborato negli anni Novanta e riadattato in chiave 2.0, fissa a 150 il numero di persone con cui un essere umano riesce ad avere a che fare. Tale soglia sarebbe determinata dal funzionamento della nostra neocorteccia, la parte del cervello responsabile del linguaggio e del pensiero cosciente. La rete sociale di ognuno, secondo Dunbar e Burton, può essere vista come un circolo concentrico. "Al centro - spiega Dunbar - c'è l'Ego, vale a dire il soggetto. Subito dopo si trova il cosiddetto network di supporto, formato da una media di cinque persone: coloro a cui andiamo a chiedere aiuto quando ci troviamo in difficoltà emotiva o finanziaria. Poi c'è il gruppo di simpatia o solidarietà, di solito composto da 12-15 membri con cui entriamo in contatto almeno una volta al mese".
Se non c'è posto per tutti. Secondo il nuovo studio, a pagare le spese di un amore novello è soprattutto il cerchio più importante, il network di supporto, fatto di amici e parenti più stretti. Ai partecipanti è stato chiesto di compilare un questionario in tre parti: stato sentimentale, lista delle persone che avrebbero chiamato in caso di "seria crisi emotiva o finanziaria" e indice di probabilità del contatto. Da queste tre variabili i ricercatori hanno derivato un "coefficiente di relazione". Nei single, il network di supporto è formato in media da cinque individui, senza particolari differenze tra uomini e donne. "Le cose cambiano quando si è in coppia", commenta Burton. "Chi si dichiara impegnato in una relazione di tipo amoroso mostra una rete sociale intima decurtata di due elementi: un posto viene preso dal partner, l'altro rimane vacante". Da notare che nemmeno i parenti più prossimi sembrano essere esonerati da questo meccanismo: uno dei due esclusi, infatti, è spesso un membro della famiglia.
L'amante? Non fa la differenza. Posto che il fattore determinante è la minore disponibilità di tempo, ci si potrebbero aspettare effetti catastrofici nel caso di relazioni sentimentali "extra". I numeri, a sorpresa, dicono che non è così. Tra quanti hanno ammesso la presenza di un amante, la maggior parte non nota particolari differenze nella rete di amici prima e dopo la comparsa della new entry. "La consistenza del network di supporto - spiegano i ricercatori - rimane la stessa che per le persone fedeli". Le ragioni, aggiungono, possono essere diverse: da un lato è possibile che il "vecchio partner", seppur ancora attuale, perda il posto nella cerchia del cuore; dall'altro è verosimile che il maggiore stress generato da bugie e sotterfugi aumenti la necessità dell'individuo di confidarsi con soggetti esterni alla vicenda.
"Doppio lavoro". "Dal punto di vista della vita pratica - aggiunge Burton - lo studio può servire a darsi delle risposte. Il fatto che quando ci innamoriamo il nostro network si faccia più esiguo non vuol dire che le nostre esigenze siano cambiate. Chiaramente ci appoggiamo di più su una persona in particolare, che è appunto il nostro compagno o la nostra compagna. Se la matematica non è un'opinione, il soggetto in questione avrà il compito di fare il lavoro di due persone. E' questa la ragione per cui, in molti casi, ci sembra di non ricevere abbastanza supporto dal partner". In fondo, sembra suggerire lo studio, siamo pur sempre esseri umani.
(16 settembre 2010) © RIPRODUZIONE RISERVATA
Dei ricercatori di Oxford hanno misurato il costo di una relazione sentimentale sulla cerchia degli affetti più cari. Quando ci si innamora, il network di supporto passa da cinque a tre persone. Duplicato il ruolo del partner, a meno che non spunti l'amante...
di GIULIA BELARDELLI
"NON SEI più quello di un tempo", oppure "Ti stai creando il vuoto attorno". Frasi da amici, forse un po' gelosi, che in molti si sono sentiti dire dopo l'avvento di un nuovo amore. Come insegna l'esperienza e come cantano Elio e le Storie Tese in "Servi della Gleba", spesso anche le cose più belle possono costare caro: in questo caso, la rete di amici e persone fidate pronte a gettarsi nel fuoco per noi. A tradurre in numeri il costo dell'amore sono stati dei ricercatori dell'Istituto di Antropologia Cognitiva dell'Università di Oxford, che hanno presentato il loro studio al British Science Festival di Birmingham. A quanto pare, chi trova l'amore "perde" in media due persone del cuore, un amico e persino un parente.
Il costo dell'amore. "La nostra ricerca è partita da un'osservazione molto semplice", spiega Maxwell Burton-Chellew, co-autore dello studio, a Repubblica. it. "Essere impegnati in una relazione sentimentale richiede un notevole sforzo dal punto di vista energetico e temporale. L'obiettivo era misurare, secondo le leggi della scienza, l'impatto di questo impegno sulla vita sociale". Per farlo, i ricercatori hanno passato al setaccio le relazioni di 540 persone dai 18 anni in su, con un'età media di circa 28 anni. "I risultati - aggiunge Maxwell, ricercatore presso il Dipartimento di Zoologia di Oxford - parlano chiaro: quando ci si innamora, la cerchia degli affetti più stretti perde dei pezzi. Da una media di cinque individui, si passa a quattro, di cui uno è la persona amata".
Una questione di numeri. La ricerca è stata diretta dal professor Robin Dunbar, capo dell'Istituto di Antropologia Cognitiva di Oxford, già famoso per il "numero" che porta il suo nome e autore del libro "How many friends does a person need?" ("Di quanti amici ha bisogno una persona?"). Fu lui il primo a dare un limite di "sostenibilità cognitiva" a quanti amici si possono avere su social network come Facebook: 150 e non di più. Il suo modello delle relazioni sociali, elaborato negli anni Novanta e riadattato in chiave 2.0, fissa a 150 il numero di persone con cui un essere umano riesce ad avere a che fare. Tale soglia sarebbe determinata dal funzionamento della nostra neocorteccia, la parte del cervello responsabile del linguaggio e del pensiero cosciente. La rete sociale di ognuno, secondo Dunbar e Burton, può essere vista come un circolo concentrico. "Al centro - spiega Dunbar - c'è l'Ego, vale a dire il soggetto. Subito dopo si trova il cosiddetto network di supporto, formato da una media di cinque persone: coloro a cui andiamo a chiedere aiuto quando ci troviamo in difficoltà emotiva o finanziaria. Poi c'è il gruppo di simpatia o solidarietà, di solito composto da 12-15 membri con cui entriamo in contatto almeno una volta al mese".
Se non c'è posto per tutti. Secondo il nuovo studio, a pagare le spese di un amore novello è soprattutto il cerchio più importante, il network di supporto, fatto di amici e parenti più stretti. Ai partecipanti è stato chiesto di compilare un questionario in tre parti: stato sentimentale, lista delle persone che avrebbero chiamato in caso di "seria crisi emotiva o finanziaria" e indice di probabilità del contatto. Da queste tre variabili i ricercatori hanno derivato un "coefficiente di relazione". Nei single, il network di supporto è formato in media da cinque individui, senza particolari differenze tra uomini e donne. "Le cose cambiano quando si è in coppia", commenta Burton. "Chi si dichiara impegnato in una relazione di tipo amoroso mostra una rete sociale intima decurtata di due elementi: un posto viene preso dal partner, l'altro rimane vacante". Da notare che nemmeno i parenti più prossimi sembrano essere esonerati da questo meccanismo: uno dei due esclusi, infatti, è spesso un membro della famiglia.
L'amante? Non fa la differenza. Posto che il fattore determinante è la minore disponibilità di tempo, ci si potrebbero aspettare effetti catastrofici nel caso di relazioni sentimentali "extra". I numeri, a sorpresa, dicono che non è così. Tra quanti hanno ammesso la presenza di un amante, la maggior parte non nota particolari differenze nella rete di amici prima e dopo la comparsa della new entry. "La consistenza del network di supporto - spiegano i ricercatori - rimane la stessa che per le persone fedeli". Le ragioni, aggiungono, possono essere diverse: da un lato è possibile che il "vecchio partner", seppur ancora attuale, perda il posto nella cerchia del cuore; dall'altro è verosimile che il maggiore stress generato da bugie e sotterfugi aumenti la necessità dell'individuo di confidarsi con soggetti esterni alla vicenda.
"Doppio lavoro". "Dal punto di vista della vita pratica - aggiunge Burton - lo studio può servire a darsi delle risposte. Il fatto che quando ci innamoriamo il nostro network si faccia più esiguo non vuol dire che le nostre esigenze siano cambiate. Chiaramente ci appoggiamo di più su una persona in particolare, che è appunto il nostro compagno o la nostra compagna. Se la matematica non è un'opinione, il soggetto in questione avrà il compito di fare il lavoro di due persone. E' questa la ragione per cui, in molti casi, ci sembra di non ricevere abbastanza supporto dal partner". In fondo, sembra suggerire lo studio, siamo pur sempre esseri umani.
(16 settembre 2010) © RIPRODUZIONE RISERVATA
mercoledì 15 settembre 2010
CIBERNIX - Frustrazione ciibernetica
CIBERNIX - Frustrazione ciibernetica La lezione da trarre da questo esperimentino è che esistono delle costanti di scala, delle regole, anche per i nostri processi mentali. Tali leggi si estendono dalla memoria al linguaggio, dalla percezione al controllo della motricità. In altre parole, il nostro cervello, come anche quello di altre specie, lavora secondo notevoli regolarità. Intuitivamente, questo significa che, passando da piccole a grandi dimensioni, i rapporti tra varie altre grandezze restano costant
giovedì 9 settembre 2010
mercoledì 8 settembre 2010
martedì 7 settembre 2010
Studi di fattibilità umani hanno dimostrato di Interfacce Brain-Machine Science | Blog
Studi di fat
blog pubblicità è buona per voitibilità umani hanno dimostrato di Interfacce Brain-Machine Science | Blog
Nella loro umana primi studi di fattibilità di utilizzare i segnali del cervello per funzionare dispositivi esterni, i ricercatori della Duke University Medical Center di relazione che gli array di elettrodi in grado di fornire segnali utilizzabili per il controllo di tali dispositivi. Il team di ricerca sta lavorando per sviluppare dispositivi prototipo che può consentire alle persone paralizzate per operare "neuroprosthetic" e altri dispositivi esterni utilizzando solo i segnali del cervello.
Mentre i nuovi studi forniscono una prova iniziale di principio che umano applicazione delle interfacce cervello-macchina è possibile, i ricercatori sottolineano che molti anni di sviluppo e la sperimentazione clinica saranno necessari prima di tali dispositivi neuroprosthetic sono disponibili.
Il gruppo di ricerca, guidato dal neurochirurgo e docente di neurobiologia Dennis Turner, MD, neurobiologo e Miguel Nicolelis, MD, pubblicheranno i loro risultati nel numero del luglio 2004 della rivista Neurosurgery. membri principali del gruppo di ricerca comprendono anche Parag Patil, MD, residente in neurochirurgia e autore principale dello studio, e Jose Carmena, Ph.D., un collega post-dottorato in neurobiologia. La ricerca è stata sostenuta dalla Defense Advanced Research Projects Agency e il National Institutes of Health.
La ricerca si basa su precedenti studi in laboratorio Nicolelis, in cui le scimmie impararono a controllare un braccio robot utilizzando solo i segnali del cervello.
Nell'uomo studi iniziali, Patil e colleghi hanno registrato segnali elettrici da array di 32 microelettrodi, durante interventi chirurgici eseguiti per alleviare i sintomi del morbo di Parkinson e disturbi del tremore. Tali procedure chirurgiche di routine coinvolgere l'impianto di elettrodi nel cervello e quindi stimolare il cervello con piccole correnti elettriche per alleviare i sintomi del paziente. I pazienti sono sveglio durante l'intervento chirurgico, e la neurochirurghi tipicamente segnali cerebrali record per garantire che gli elettrodi permanenti sono collocati nella posizione ottimale nel cervello.
Negli esperimenti sono stati segnalati in Neurochirurgia, i ricercatori hanno aggiunto un semplice manuale di attività per la procedura chirurgica. Mentre i segnali del cervello sono stati registrati con il romanzo-channel array di elettrodi 32, il volontario 11 pazienti è stato chiesto di svolgere un controllo di videogiochi usati.
Successivamente, analizzando i segnali provenienti da questi esperimenti, il team ha scoperto che i segnali conteneva informazioni sufficienti per essere utile per prevedere i movimenti di mano. Tale è la previsione requisito necessario per modo affidabile utilizzando i segnali neurali per il controllo di dispositivi esterni.
"Nonostante le limitazioni sugli esperimenti, siamo stati sorpresi di trovare che il nostro modello di analisi in grado di prevedere i movimenti dei pazienti 'abbastanza bene," ha detto Nicolelis."Abbiamo avuto solo cinque minuti di dati su ogni paziente, durante il quale ci è voluto un minuto o due per addestrarli al compito. Ciò suggerisce che i test clinici progredisce, e si usa array di elettrodi che vengono impiantati per un lungo periodo di tempo, potremmo ottenere un sistema praticabile control per dispositivi esterni, "ha detto.
Mentre altri ricercatori hanno dimostrato che gli elettrodi impiantati individualmente può essere usata per controllare un cursore sullo schermo di un computer, complessi dispositivi esterni che richiedono dati provenienti da grandi array di elettrodi, disse il Duca ricercatori.
Secondo Nicolelis, un altro grande differenza tra i primi studi umani e gli studi scimmia è che la registrazione in pazienti umani sono stati fatti da elettrodi inseriti più in profondità nel cervello, nelle strutture sottocorticali, piuttosto che la superficie corticale.
"Questo dimostra che si può estrarre informazioni non solo da aree corticali, ma da quelle subcorticali, anche," ha detto Nicolelis."Questo suggerisce che in futuro ci saranno più opzioni per il campionamento informazioni neuronali per controllare un dispositivo protesico", ha detto.
Secondo Turner, la progressione per la salute umana studi clinicipresenta una serie di sfide. Per esempio, ha detto, i dati con le scimmie sono stati ottenuti da elettrodi collegati alla superficie della corteccia cerebrale.
"Abbiamo inizialmente usato elettrodi sottocorticali, in quanto sono più stabili, perché sono sepolti più profondo", ha detto Turner.Inoltre, ha detto, le regioni più profonde presenti altri vantaggi. "Il modo in cui funziona il cervello, tutti i segnali per il controllo motore sono filtrati attraverso le regioni profonde del cervello prima di raggiungere il risultato finale corticale", ha detto. "Allora, sono teoricamente più facili da registrare da più aree corticali. Le aree sottocorticali sono anche più denso, il che significa che ci sono più cellule di registrare da una superficie più ridotta.
Lavorare con gli ingegneri biomedici Duca, il team di ricerca sta mettendo a punto il primo prototipo di un dispositivo neuroprosthetic che includerà una interfaccia senza fili tra il paziente e il dispositivo.
Secondo Turner, mentre la più ovvia applicazione di questa tecnologia sarebbe un braccio robot un tetraplegico, lui ei suoi colleghi stanno progettando altri dispositivi pure. Uno potrebbe essere una controllata sedia a rotelle elettrica neurale, e un altro un operato tastiera neurale, la cui produzione potrebbe includere sia testo o parole. Tali dispositivi potrebbero aiutare sia le persone paralizzate e chi ha perso capacità di intervento a causa di un ictus o sclerosi laterale amiotrofica (malattia di Lou Gehrig).
Una questione chiave per il futuro degli studi clinici è se gli esseri umani possono includere dispositivi quali nel loro "schema", o la rappresentazione neurale del mondo esterno, ha detto Turner. Le scimmie in 'studi Nicolelis sembra fare proprio questo.
"Sappiamo che per tutti i tipi di formazione a motore, come ad esempio andare in bicicletta, le persone munite di un dispositivo esterno nel loro schema, e il processo diventa subconscio ", ha detto."Ci si baserà su tale fenomeno nei nostri studi umani. E 'noto, ad esempio, che i pazienti che non hanno uso della loro braccio mostrano ancora negli studi MRI che i centri di controllo nel cervello stiano funzionando normalmente. Quando viene chiesto loro di immaginare muovere le braccia, i centri di controllo diventare attivo. Così, abbiamo buone speranze che i neuroni in questi centri può ancora fornire gli stessi segnali, anche se il braccio non è fisicamente di lavoro ".
Come il loro prossimo passo importante, ha detto Turner, i ricercatori hanno già presentato domanda per l'approvazione federale per avviare l'impianto di elettrodi sperimentale array a lungo termine nei pazienti tetraplegici. Tali prove, effettuate nel corso dei prossimi tre-cinque anni comporterebbe impiantare i pannelli in determinate regioni, chiedendo al paziente di eseguire compiti specifici e quindi ad esplorare in modo ottimale i compiti che sono controllate da quella regione.
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