giovedì 31 maggio 2012
Cos'è il fracking e perché non ha causato il sisma in Emilia - Wired.it
Non è in corso nessuna operazione di fracking né altre forme non convenzionali – per esempio l'estrazione del cosiddetto shale gas - di sfruttamento dei giacimenti di gas in Emilia Romagna e nemmeno sul resto del territorio nazionale. La smentita ufficiale arriva da fonti del Ministero dello sviluppo economico, che hanno tenuto a precisare che non sono state rilasciate autorizzazioni per pratiche di questo tipo e che – con ogni probabilità – non verranno rilasciate neanche in futuro.
Con queste parole se ne va d’incanto anche l’ ennesima bufala che è circolata in Rete a proposito del terremoto che ha colpito l’ Emilia. Quella cioè che voleva che questo poco frequente evento sismico fosse stato causato da una serie di operazioni che venivano effettuate nel sottosuolo per conto delle società petrolifere. In particolare l’ira di Facebook si è scatenata contro un progetto, che al momento non è ancora partito, che prevede la realizzazione di un sito di stoccaggio del gas proprio nella stessa area dove in queste settimane si registrano le scosse sismiche più forti.
In particolare, l’impianto dovrebbe essere realizzato a Rivara in provincia di Modena - proprio vicino a San Felice sul Panaro. Esattamente li in mezzo al cratere del terremoto. Sulla realizzazione dell’impianto c’erano state nel corso degli anni una serie di polemiche che avevano visto anche la stessa Regione Emilia Romagna dare parere contrario. Insomma c’erano tutte le condizioni perché il sito si prestasse a ulteriori strumentalizzazioni che, subito dopo le prime scosse dello scorso 19 maggio, sono arrivate. Sul Web sono cominciate a circolare immediatamente suggestioni e articoli che mettevano in correlazione l’evento sismico con l’impianto di stoccaggio che – occorre ribadirlo – al momento ancora non esiste in concreto, ma sta solo sulla carta. Alcuni si sono spinti anche più in là ipotizzando che nel sito fossero state messe in atto alcune tecniche di estrazione del gas e degli idrocarburi, come per esempio il fracking ( fratturazione idraulica), o dello shale gas, che in altre aree del mondo vengono impiegate abitualmente ma che sono state – in alcuni contesti geologici particolari – accompagnate anche da fenomeni significativi, tra cui piccoli terremoti. Ma in cosa consiste il fracking? In parole semplici, si sfrutta la pressione di un fluido, generalmente acqua o gas, per creare e poi propagare una frattura in uno strato roccioso già trivellato e aumentare poi la quantità di idrocarburo estratto da un giacimento.
A nulla è valso, nei giorni successivi alla scossa la smentita da parte della Erg, la società che vuole realizzare l’impianto che, in una nota ufficiale ha ribadito di non aver avviato nessuna perforazione e “ tanto meno con iniezione di gas”. La follia dei post vaganti ha continuato a dilagare sulla Rete, in una catena “ mi piace-condividi” che va avanti ancora senza sosta e senza alcuna possibile forma di valutazione critica. Al punto che sul tema sono state anche presentate interrogazioni parlamentari e ora si attende la replica del Governo.
Anche davanti alla smentita, comunque il popolo di Facebook ha continuato e ha allargato l’obiettivo: se non si è fatta a Rivara, ma magari questa operazione è stata fatta in qualche altro pozzo della pianura padana. “ Sui circa settemila pozzi presenti in Italia – spiegano fonti autorevoli del Ministero dello sviluppo – non è mai stata autorizzata nessuna tecnica di questo tipo. Ora sono altri i problemi a cui stiamo guardando. Ci preoccupiamo della sicurezza degli impianti soprattutto delle strutture di superficie che potrebbero aver risentito del terremoto. Fortunatamente non sembra ci siano problemi preoccupanti in questo senso”.
mercoledì 30 maggio 2012
Come funziona il liceo economico e sociale in Francia
martedì 29 maggio 2012
www.asriran.com/files/fa/news/1389/8/16/155486_922.swf
Greenpeace attacca Enel: "bolletta sporca" spedita a 100mila italiani - Wired.it
La guida di Wired alla città di Roma - Wired.it
lunedì 28 maggio 2012
domenica 27 maggio 2012
sabato 26 maggio 2012
Il coito interrotto fa 100mila gravidanze l'anno - Wired.it
Preservativi Usa - YouTube
I preservativi, si sa, sono una delle cose più utili e usate mai inventate: proteggono da malattie sessuali ed evitano gravidanze indesiderate, ma la loro storia non è poi così recente. Anzi, la prima testimonianza dell’esistenza dei preservativi risale al 1350 a.C., all’antico Egitto. Negli anni a seguire si sono diffusi sempre più, dall’antica Cina al Rinascimento per arrivare all'americano Charles Goodyear che nel 1870 inventa il processo di vulcanizzazione, alla base della produzione di profilattici. Ma forse neanche nei tempi antichi venivano usati i preservativi per suonare...
venerdì 25 maggio 2012
mercoledì 23 maggio 2012
martedì 22 maggio 2012
lunedì 21 maggio 2012
domenica 20 maggio 2012
The Canadian Rockies Souvenir Video in HD - YouTube
sabato 19 maggio 2012
venerdì 18 maggio 2012
giovedì 17 maggio 2012
mercoledì 16 maggio 2012
I suicidi non sono aumentati per la crisi - Wired.it
martedì 15 maggio 2012
Visita Virtual Museo Thyssen Bornemisza
lunedì 14 maggio 2012
Fantasmi, cinque dimore da brivido - Wired.it
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Potere ai geek. Ecco come cambiare il mondo - Wired.it
Potere ai geek. Ecco come cambiare il mondo - Wired.it
domenica 13 maggio 2012
giovedì 10 maggio 2012
Libero arbitrio e visione scientifica del mondo: BrainFactor intervista Mario De Caro
PADOVA – Prosegue oggi a Padova il congresso di Neuroetica, quest'anno focalizzato sulle “Neuroscienze fra spiegazione della vita e cura della mente”. Ieri Adina Roskies, John-Dylan Haynes, Alfred Mele, insieme a Mario De Caro, Giuseppe Sartori e Michele di Francesco hanno riflettuto ampiamente sul concetto di “libero arbitrio”. Sul tema, BrainFactor ha intervistato Mario De Caro, professore di Filosofia morale all'Università Roma Tre.
Neuroetica 2012 si è aperto con un suo intervento su “libero arbitrio e visione scientifica del mondo”. In che relazione stanno fra di loro?
Cartesio ancora svincolava la mente (che per lui era la stessa cosa dell’anima) dallo studio scientifico. E il libero arbitrio, per lui, era una proprietà della mente, intesa appunto come entità immateriale. Ma con la scienza moderna progressivamente la mente viene vincolata alla materia. Ma in questo modo il libero arbitrio diventa una facoltà problematica, tanto che Kant vi fonda una antinomia della ragione pura. E ancora oggi siamo qui a discutere come collocare il libero arbitrio nel mondo fisico, retto dalle ineludibili leggi naturali. Molte teorie filosofiche del libero arbitrio contraggono impegni ontologici rispetto a com’è fatto il mondo: per alcune, affinché il libero arbitrio sia possibile il mondo deve essere deterministico, per altre deve essere indeterministico.
Che tipo di contributo può dare la scienza a tali discussioni?
E' la scienza che può aiutarci a capire quale delle due teorie è giusta. Kant, al contrario, aveva un’idea del libero arbitrio che lo collocava nel mondo dei noumeni, che è inaccessibile alla ricerca scientifica. Oggi invece molti pensano che, sia in generale sia rispetto al tema del libero arbitrio, tra scienza e filosofia deve esserci un costante scambio. Ma forse persino Kant che anche nella scienza si parla di indeterminismo (e non solo nel mondo dei noumeni): perciò, con i dati oggi disponibili, forse non sarebbe arrivato a teorizzare una “antinomia” nei termini di un contrasto fra l'idea di libertà e le leggi di natura.
Il libero arbitrio sembra essere un tema molto attuale ed è quasi paradossale che siano proprio le neuroscienze a riproporci questioni che sono state la cifra distintiva delle dispute medioevali e prima ancora dei Padri della Chiesa...
Libero arbitrio è un termine obsoleto perché postula l’esistenza della speciale facoltà mentale dell’arbitrio – un retaggio della filosofia medioevale. Comunque tra il dibattito sul libero arbitrio in ambito teologico e quello in ambito naturalistico ci sono interessanti affinità strutturali. L’idea di libertà infatti è la stessa: la capacità di autodeterminarsi potendo fare diversamente da come si fa di fatto. Quello che cambia sono solo le minacce all'idea di libertà dell'umano: nell'una discussione le proprietà divine, nell'altra le leggi della natura. Ma la “minaccia” è simile. E sono simili anche alcune le soluzioni prospettate: ad esempio, lo stesso Duns Scoto può essere considerato un “libertario indeterminista” e prima di lui Epicuro e Lucrezio.
Quale rapporto vede oggi possibile fra neuroscienze e filosofia?
Il rapporto non può che essere a due sensi. E la filosofia può aiutare a chiarificare i fondamenti di questa scienza. Del resto anche Galileo, Darwin ed Einstein in parte erano filosofi. Ma la domanda interessante è: che cosa può fare oggi la filosofia per le neuroscienze? Le neuroscienze hanno a che fare con concetti importanti: l’indagine sulla responsabilità morale e sul libero arbitrio è oggi influenzata da ciò che ci dicono le neuroscienze e ora una mole di dati sta irrorando le discussioni secolari se non millenarie su questi temi.
Ma alla filosofia, alla fine dei conti, cosa importa sapere come funziona il cervello?
Interessa molto. Come scrivevo domenica scorsa sul Sole 24 Ore, da una parte è vero, per esempio, che il problema del libero arbitrio non può essere risolto dalle sole neuroscienze, perché l'analisi concettuale è presupposto indispensabile dell’indagine; ma è anche vero che le neuroscienze possono comunque portare un contributo molto importante alla chiarificazione di alcuni aspetti di tale problema.
Da professore di Filosofia, come valuta la risposta della filosofia italiana al "richiamo" delle neuroscienze?
Per gran parte del Novecento, la filosofia si è mostrata in buona parte impermeabile alla scienza. Con Federico Enriques c’era stato, a inizio secolo, un tentativo molto autorevole di riflettere filosoficamente sulla scienza, ma il trionfante idealismo ne aveva impedito ogni diffusione. Nel secondo dopoguerra la situazione iniziò a cambiare con Ludovico Geymonat e i suoi allievi, ma culturalmente dominavano altre tradizioni, come la fenomenologia, l'esistenzialismo, il marxismo, il neotomismo. Negli ultimi tre decenni tuttavia, le giovani generazioni di studiosi di Filosofia (molto più consapevoli del dibattito anglosassone delle generazioni precedenti) hanno finalmente imposto anche da noi la filosofia analitica e la filosofia della scienza, come forme del tutto legittime della ricerca filosofica.
In ambito forense sta passando il concetto che “se è colpa del mio cervello non è colpa mia”. Non le sembra un poco riduttivo? Banalmente: il mio cervello di chi altri è se non mio?
In questo frangente scontiamo un retaggio dualistico, dove “Io” è contrapposto a “il mio cervello”. Meglio distinguere invece tra stati psicotici e stati normali. In questo contesto è interessante la posizione di Derek Pereboom, fra i relatori del convegno, teorizzatore della tesi secondo la quale la mancanza di libero arbitrio ci porta a concludere che la concezione retributivistica della pena è sbagliata e che si dovrebbe concepire invece la pena come una “quarantena”, durante la quale il reo deve essere curato.
In una battuta: fra scienze e filosofia, cosa sceglie?
La scienza da sola non basta... Ma nemmeno la filosofia.
Mario De Caro è professore associato di Filosofia morale all'Università Roma Tre. Ha insegnato all'Università dell'Aquila, al Saint Mary's College di Notre Dame nell'Indiana e dal 2000 insegna anche alla Tufts University in Massachusetts, occupandosi di filosofia morale, teoria dell'azione, filosofia della mente e neuroetica. E' stato Visiting Scholar al Massachusetts Institute of Technology e Fulbright Fellow alla Harvard University. E' presidente della Società Italiana di Filosofia Analitica e membro del Comitato Esecutivo della Consulta Filosofica Italiana e del Committee on Academic Career Opportunities and Placement della American Philosophical Association. È inoltre membro di comitati scientifici di riviste internazionali e referee per diverse case editrici. Ha pubblicato numerosi articoli e saggi in cinque lingue ed è autore, fra gli altri, dei seguenti volumi: “Dal punto di vista dell'interprete” (Carocci 1998), “Il libero arbitrio” (Laterza 2004), “Azione” (Il Mulino 2008) e “Cosa vuol dire essere liberi?” (Laterza, in preparazione).
Intervista di Marco Mozzoni
Tutti i diritti riservati (C) BRAINFACTOR 2012
mercoledì 9 maggio 2012
Analisi transazionale: linee generali di un modello per la mediazione - Articoli di psicoterapia
http://www.opsonline.it/index.php?m=show&id=28760
Che filosofia sarebbe senza contemporaneità? – Il Fatto Quotidiano
martedì 8 maggio 2012
Produttività Vision Future (2011) - YouTube
Guarda come tecnologia del futuro aiuterà le persone a sfruttare meglio il loro tempo, la loro attenzione, e rafforzare le relazioni, mentre fare le cose sul posto di lavoro, casa e in movimento.
lunedì 7 maggio 2012
I♥myBrain
Italian Scientists, Professionals and Scholars in UK and Europe
9 aprile 2012
Easter update, with surprise: Via-acadeMyCit Come annunciato alla fine dell’anno scorso, questo Aprile abbiamo cominciato ad aggiornare le informazioni sulla lista dell’eccellenza italiana raccolta dalla Via-academy nel sito dei TopItalianScientists (TIS). Con l’aggiunta di circa 70 nomi, la lista raccoglie ora quasi 2600 persone, un numero che sottolinea la dimensione dell’eccellenza scientifica ed accademica italiana nel mondo. La quale continua a crescere nonostante i tagli ai fondi per la ricerca e la cultura perpetrati dagli stessi politici che pervicacemente attaccano la cultura e l’eccellenza italiana, ma nel contempo usavano soldi pubblici per comprarsi titoli accademici. Risulta interessante rilevare che ben 20 dei nuovi TIS appartengono all’area di computer science. Quest’osservazione introduce un argomento che genera un forte dibattito dentro e fuori la Via-academy: la suddivisione dell’eccellenza scientifica (o accademica in senso lato) nelle varie discipline ed aree specifiche del sapere umano. L’ANVUR ha deciso di valutare la ricerca italiana sulla base di due filtri di suddivisione: uno corrispondente alle 14 macro-aree definite dal CUN, ed uno molto fine che comprende tutte le subject categories (oltre 600) individuate dalla ISI WebofSciences (WoS). Queste categories sono state usate da ISI WoS anche per identificare gli scienziati maggiormente citati al mondo (ISI highly cited) che in Italia ha stimolato la creazione della prima lobby di alto livello scientifico, il Gruppo2003. Dal 2008 il dati per gli highly cited non son stati aggiornati e l’intero esercizio is now discontinued, come annunciato dalla stessa ISI. Un’altra suddivisione tutta italiana del sapere viene fatta dal Ministero (MIUR) negli oltre 300 Settori Scientifici Disciplinari (SSD) che, pur rivisti e ridotti di numero, costituiscono il riferimento per l’esercizio di valutazione VQR2004-2010 dell’ANVUR. L’anno scorso abbiamo pubblicato un TIS Report dedicato all’argomento e recentemente Luca Boscolo ha pubblicato un lavoro in collaborazione con psicologi italiani riguardo a vari SSD della loro area. Tuttavia io personalmente ritengo che la risorsa della lista TIS deve rimanere senza divisioni disciplinari, anche se ciascun nome viene associato ad una o due aree scientifiche che abbiamo definito su basi empiriche internazionali. Questo per sottolineare un aspetto fondamentale della scienza moderna – la interdisciplinarietà.Dopo aver discusso con vari colleghi e fatto varie prove, lanciamo oggi un nuovo servizio di collegamento fra la lista dei TIS ed il database di Google Scholar, decisamente valido riguardo alla interdisciplinarietà del sapere. Si chiama Via-acadeMyCit (presente anche nel banner del sito Via-academy) e consente di ottenere in modo automatico gli h-index per tutte le persone che si registrano, con valori basati sulle pubblicazioni selezionate dagli stessi autori nel servizio MyCitations di Google Scholar. Consiste quindi in un collegamento fra il sito TIS della Via-academy e MyCitations di Google Scholar. Si potrebbe criticare la procedura che abbiamo messo a punto come un ennesima perdita di tempo per una registrazione online. Tuttavia abbiamo notato che molti colleghi ci continuano a chiedere aggiornamenti sul loro profilo sulla base di dettagliate ricerche che hanno fatto loro stessi, con conseguente dispendio di tempo. Il collegamento Via-acadeMyCit, una volta fatto, non porterà via altro tempo e costituisce un servizio gratuito
Un algoritmo può scrivere meglio di un giornalista? - Wired.it
Sul sito di gadget nerd Thinkgeek vendono una t-shirt con scritto “ Go away or I will replace you with a very small shell script” , ovvero “ Vattene prima che ti sostituisca con un minuscolo programmino”. Una minaccia ironica rivolta alle occasioni in cui il monotono lavoro di qualche rompiscatole potrebbe essere svolto (con meno spese e lamentele) da un semplice software. Stavolta però a sudare freddo ci siamo noi, qui, dietro le tastiere. Tentazioni luddiste a Wired? Sì, perché ci sono algoritmi che stanno diventando capaci di sostituire un giornalista. Due compagnie americane, la Narrative Science a Chicago e la Automated Insights a Durham, North Carolina, hanno sviluppato dei programmi che scrivono automaticamente articoli giornalistici a partire da dati grezzi.
La storia parte da Kristian Hammond, un informatico che vanta un dottorato a Yale. Nel 2009, Hammond e un collega, Larry Birnbaum, si trovano a insegnare a un corso per una scuola di giornalismo della Northwestern University. Gli studenti, un inusitato mix di giornalisti e informatici, se ne escono con un programmino chiamato Stats Monkey. Gli davi in pasto una scheda tecnica di una partita di baseball, e in pochi secondi generava un articolo sportivo completo di immagini, titoli, didascalie e perfino rimandi corretti alla storia del baseball. Niente che possa finire sul New Yorker, ma più che sufficiente per riempire le pagine dei quotidiani locali con le partitelle dei dilettanti.
Era solo baseball, ma uno dei presenti alla presentazione di Stats Monkey, Stuart Frankel, capì che era l'inizio di una miniera d'oro. Chiese a Hammond e Birnbaum se era possibile andare oltre: scrivere un programma che generasse storie da qualsiasi insieme di dati, storie che si potessero vendere. I tre fondarono Narrative Science e costruirono un team composto sì da programmatori - per affinare il software e renderlo adatto a qualsiasi tipo di dati - ma anche da giornalisti professionisti che fanno da meta-scrittori. Questi scrivono gli innumerevoli template linguistici: schemi di frasi prefabbricati, che poi il software riempie coi dati e incolla insieme. Basta poi dire al software di sfruttare più un certo tipo di frasi rispetto a un altro, ed ecco che cambia il taglio dell'articolo. Narrative Science dichiara che “ non è più difficile, per noi, creare un articolo irriverente e scanzonato rispetto a un asettico lancio d'agenzia”. Come il cliente preferisce, e il risultato è inquietantemente umano.
All'inizio Narrative Science (e la concorrente Automated Insights) si è focalizzata sulla scrittura di report automatici di sport e finanza. Il motivo è semplice: quasi tutto quello che c'è da dire al riguardo ha a che fare con un bel po' di dati grezzi (gol segnati, azioni che crollano, eccetera) che un computer può condensare e raccontare. Ma a mille ce n'è di dati da narrar. Le aziende hanno imparato da tempo che raccogliere dati è fondamentale per comprendere e migliorare il proprio business: peccato che poi vi affoghino, incapaci di dare un senso a migliaia di monotone tabelle e grafici. I software invece possono leggere i dati senza annoiarsi e analizzare i trend chiave. Gli algoritmi di scrittura automatica poi compilano automaticamente un report tanto leggibile quanto impeccabilmente corretto, che restituisce significato ai dati raccolti, e che i manager possono comprendere. Questo tipo di reporting automatico, ancora più del giornalismo, potrebbe diventare in futuro il core business di aziende come Narrative Science.
E non ci sono solo dati numerici da raccontare. Per esempio, il software di Narrative Science è in grado di leggere milioni di tweet che riguardano un personaggio, di analizzare automaticamente se sono di plauso o critica (quella che i linguisti computazionali chiamano sentiment analysis, analisi del sentimento: qualcosa che si fa anche in Italia) e di generare un conciso, leggibile report su cosa dice di un dato personaggio la twittersfera. Basato su una mole di dati che un giornalista umano non potrebbe neanche iniziare a raccogliere: in questo i software di scrittura automatica hanno un vantaggio decisivo.
Anche le guide gastronomiche sono a rischio obsolescenza: sfruttando la flessibilità del software di Narrative Science, uno dei meta-scrittori del loro team ha creato un bot capace di leggere varie recensioni di ristoranti sul Web, carpirne gli aspetti chiave, e macinare dozzine di articoletti del tipo “ Dove mangiare italiano ad Atlanta”.
Automated Insights, ritornando allo sport, ha lanciato invece il sito Stat.us. Anche questo sfrutta Twitter, ma all'opposto: aggrega dati sportivi da varie fonti, li analizza e li smista, creando account Twitter automatici (uno per ogni squadra di football, basket etc.) che aggiornano i fan su ogni battito d'ali della squadra preferita. È addirittura possibile generare una lista di account Twitter personalizzata per la propria squadra di fantacalcio. Stat.us è il figlio naturale dello Statsheet Network, sempre di Automated Insights, una collezione di 345 siti di news, uno per ogni squadra del campionato di basket NCAA, tutti generati in modo interamente automatico.
E per i geek che non guardano partite, ma giocano avventure attaccati a sedia e cuffie? Narrative Science sta per lanciare articoli personalizzati basati su session di World of Warcraft. Immaginate di partecipare a un'epica battaglia su WoW e di poter leggere (e condividere con gli amici) un bell'articolo che racconta la vostra avventura, come se aveste avuto un giornalista di guerra embedded tra le vostre file.
L'obiettivo a breve termine del giornalismo automatico è infatti un mondo in cui ognuno di noi è accompagnato da un reporter invisibile, che ci aiuti a dare senso ai dati a cui veniamo incontro. Ricevere un'analisi del sangue che, invece di essere un'oscura serie di numeri interpretabile solo da uno specialista, sia un rapporto leggibile e chiaro sulla vostra salute, completo di indicazioni su cosa fare per migliorare. O un articolo sull'andamento del vostro conto in banca, limpido e ricco di consigli.
Dal punto di vista del giornalismo vero e proprio, i report automatici per ora sono al massimo il punto di partenza per il data journalism, in cui poi il giornalista umano deve infilare la necessaria interpretazione. Ma Kristian Hammond non si accontenta, e vuole rendere Narrative Science capace di interpretare i dati con intelligenza. Idealmente il software dovrebbe leggere i dati, scovare correlazioni o pattern interessanti, ponderarli e infine scrivere un articolo su quello che ha scoperto. E visto che esistono già software capaci di ragionare e raggiungere conclusioni profonde dai dati, è solo questione di tempo prima che accada.
È davvero il caso di mandare a casa i giornalisti in carne, ossa e taccuino? Per ora gli algoritmi vengono usati per raccontare cose che altrimenti nessun essere umano o quasi prenderebbe in considerazione. Vivacizzare dati aziendali, aggiornare amici e parenti sulle partitelle delle squadre dei ragazzi, scrivere tonnellate di report su dati che altrimenti nessuno frugherebbe. Scott Frederick, il Ceo di Automated Insights, ha dichiarato che “non ci interessa togliere il lavoro ai giornalisti umani. Semmai, vogliamo che possano lavorare sulle cose che veramente vogliono. A nessuno interessa scrivere ogni settimana un aggiornamento sul mercato immobiliare in tutte le 42mila contee degli Stati Uniti, ma questo è quello che il nostro software può fare”. Kristian Hammond e i suoi colleghi a Narrative Science invece non vedono nessun motivo per non competere direttamente. “ Gli esseri umani sono incredibilmente complessi, ma alla fine anche loro sono macchine. Nel giro di 20 anni, non ci sarà nessun'area in cui Narrative Science non potrà scrivere articoli [...] Fra 15 anni, il 90% delle news sarà scritto da un computer”. Quando gli hanno chiesto se un algoritmo avrebbe vinto il Pulitzer fra 20 anni, Kristian però non era d'accordo. Perché secondo lui accadrà già fra cinque anni.
Ma il vero rischio per i lettori è paradossalmente nella capacità del giornalismo automatico di seguire il loro gusto fin troppo bene. Immaginate di avere news personalizzate a seconda delle vostre opinioni politiche, o dei vostri gusti estetici: un quotidiano che adatta la scrittura dei suoi articoli a ciascun lettore, sfruttando i dati che disseminate su motori di ricerca e social network. Questo ovviamente cullerebbe il nostro cervello, dandoci in pasto cose sicuramente gradevoli, ma lasciandoci in una bolla ovattata dove non riceveremmo mai opinioni e giudizi discordi da quelli che ci aspettiamo già. Alla fine potremmo ridurci a leggere uno specchio automatico di noi stessi, incapace di espandere davvero la nostra mente. Questo, forse, è un motivo per continuare a tenere le nostre dita umane sulla tastiera. Quelle di ciascun cittadino.