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martedì 31 luglio 2012

Alberto Casadei, “Poesia e ispirazione”, Luca Sossella 2009 » ° punto critico

 Niccolò Scaffai

Il rischio di un titolo come Poesia e ispirazione è di evocare una stagione tardoromantica e idealistica che gli studi letterari del secondo Novecento hanno definitivamente superato. Ma si tratta di un rischio calcolato, che mette in risalto un’idea critica originale, affermata proprio dall’uso straniato della parola ‘ispirazione’. Nella Premessa, infatti, Alberto Casadei chiarisce come l’obiettivo consista nell’indagare la “connessione fra poiesis e nuove potenzialità ermeneutiche indicate dalla linguistica, dalla cognitive poetics e in generale dagli studi su mente e cervello” (p. 7). C’è un intento militante dietro la proposta di integrare i risultati delle scienze cognitive nella problematica poetologica: “riaprire il credito” nei confronti della poesia, esaminandola quale attività di sperimentazione gnoseologica, accostandone i percorsi di creazione di senso e immagini alle modalità che presiedono alle connessioni sinaptiche. La prospettiva è attuale, acclimatandosi da un lato nel terreno degli studi sul valore cognitivo della retorica (della metafora, in particolare), dall’altro nel campo di tensioni su cui si muove per esempio la poesia italiana contemporanea, spesso disposta a delegare al corpo, alla materia fisica e neuronale, la responsabilità di una percezione profonda che l’io sentimentale non è più autorizzato a detenere. Non idealistico, l’approccio di Casadei non è però nemmeno scientista, dal momento che non elegge un modello teorico elaborato dalle scienze umane applicandone definizioni e criteri al testo letterario. È piuttosto l’indicazione di una via alternativa di concepire la poesia, rifondandone per questo tramite anche la forza e la necessità sociale. Il contributo della scienza si limiterebbe a migliorare la comprensione di meccanismi che la poesia da sempre autonomamente attiva, per così dire in re.

Sul tavolo ci sono anche la questione dello stile e gli strumenti che la critica ha per tentare di afferrarlo: l’auscultazione affidata alla performance del singolo interprete; o la ‘grammatica’ dei fenomeni formali, indistintamente – e perciò superficialmente – valida per autori di calibro diverso. Ci deve essere un modo per riconoscere senza circoscrivere; per trovare allo stile una base oggettiva e comunicabile, senza fermarsi alla formalizzazione.

Il progetto – non c’è dubbio – è ambizioso, e avanza lungo un arduo crinale; d’altra parte, il volume è intenzionalmente preliminare rispetto a una ricerca di cui vengono fissati i presupposti, non ancora offerti i risultati. La partita si giocherà in gran parte nel tempo dell’analisi, che mostrerà quanto profondamente possa scendere lo scandaglio e quali zone di senso non altrimenti raggiungibili potranno essere esplorate. (Ma intanto, un effetto creativo, non interpretativo, della ricerca di Casadei è il libro poetico Genetica, che l’autore ha pubblicato di recente: la forma poemetto viene lì adottata per illustrare l’esperienza di un io che – grazie alla condivisione biologica che lo lega agli altri umani – trapassa dal presente al passato, dalla dimensione privata a quella storica).

Il primo tratto di Poesia e ispirazione è Un percorso saggistico; partendo dalla pur controversa opposizione platonica tra la “divina mania”, che dà al poeta la possibilità di attingere a una conoscenza irrazionale, e il metodo socratico, basato sulla logica argomentativa, Casadei osserva come il linguaggio poetico sia sempre stato considerato diverso da quello comune: l’idea jakobsoniana di “funzione poetica” non farebbe che accreditare con strumenti formali la medesima posizione. La specializzazione funzionale è sfociata però in una separazione tra poetico e reale, che ha finito per provocare una reazione del secondo polo ai danni del primo: dall’epoca delle avanguardie, la strada intrapresa è quella che conduce all’integrazione del linguaggio letterario nell’ambito della comunicazione. Il recupero della specificità passa attraverso la considerazione della poesia in quanto prodotto di un “processo di pensiero e metaforico che evita in prima istanza la connettività di tipo logico-sintattico, o che la usa ma senza curarsi dei vincoli della non-contraddittorietà e della consequenzialità, pur rimanendo in qualche modo, dotata di senso.” Inevitabile, da queste premesse, l’approdo della ricerca a una sponda che sia anche antropologica e pre-storica; da lì procedendo, però, verso l’espressione di un giudizio di valore sui modi storicamente determinati della poesia moderna. Non è infatti l’oscurità di marca surrealista a “ricreare nelle parole” il “lavorio genetico”, che invece Casadei rintraccia nella poesia di Celan, capace di raggiungere un senso svincolato dalla linearità di un discorso razionale. L’ipotesi critica è affascinante, anche perché – una volta compreso il quid, il “modo” in cui la poesia a-razionale rimane dotata di un senso – sarebbe possibile individuare uno specifico carattere del poetico da un lato senza riabilitare il crocianesimo; dall’altro senza attribuire ogni scelta formale alla coscienza dell’autore, sostituendo così alla valutazione dell’opera il rinvenimento di una ‘firma’, il segno di un’intenzione che rende sempre possibile giustificare il testo letterario, non però giudicarlo.

Nel secondo tratto, Un percorso storico-letterario, Casadei considera l’evoluzione del “poetico” partendo dalla tensione dantesca verso l’ineffabile, per proseguire con l’espansione metaforica della poesia di Shakespeare; la “svolta romantica” recupera la componente pre-razionale della poesia, a costo di scadere, negli epigoni di Wordsworth, nell’identificazione tra poeticità e spontaneità. Dopo Baudelaire, sono di Rimbaud le “due mosse decisive”, cioè fornire “all’azione del poeta una rinnovata natura mistica” e cominciare “a scardinare i nessi logico-sintattici”. Attraverso Rilke, Valéry, Eliot, il già ricordato Celan, l’itinerario si ferma sulla Condizione attuale, terza e ultima parte del saggio. Qui Casadei osserva come le deroghe sempre più numerose e autorevoli al modello ‘romantico’ di poesia lirica (la performatività, lo stile prosastico, l’incidenza della canzone pop) abbiano finito per sottrarre al discorso poetico ogni autonoma specificità. (In Italia, il processo sarebbe diventato irreversibile dopo la crisi del ‘classicismo paradossale’ di Montale. Né il successivo, manieristico investimento sulle forme canoniche basta a invertire la tendenza). Tra il difetto di comprensibilità di cui patisce progressivamente la poesia moderna, e la facilità o la genericità che affliggono l’idea contemporanea di poetico, la terza via che Casadei suggerisce di imboccare porta a una condivisione percettiva, anche se basata su presupposti biologici ancora da indagare, o da applicare compiutamente alla letteratura. L’obiettivo è una comunicabilità pre-razionale ma non ingenuamente mitica, né iniziatica, anzi aperta a un’accoglienza ‘di specie’: “è plausibile” – scrive Casadei in chiusura, riprendendo il dialogo di Jean-Pierre Changeux e Paul Ricoeur su La natura e la regola (1998) – “che l’arte in genere, e la poesia in particolare, possano svolgere un’opera riconciliatrice e co-fondativa, andando, con gli uomini, oltre l’uomo attuale.”

 

Niccolò Scaffai

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