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L'hacker siriano che difende i dati dei dissidenti
Si chiama Dishad Othman ed è il cyber-eroe delle rivoluzioni arabe: ha partecipato a quella egiziana, tunisina e libica e ora lotta per il suo paese. La nostra video intervista
19 aprile 2012 di Vittoria Iacovella
Ci dà appuntamento per la prima volta in un pub di Beirut. Dlshad Othman è il cyber-eroe delle rivoluzioni arabe, ha partecipato a quella egiziana, tunisina e libica e ora lotta per il suo paese.
E’ siriano, della minoranza curda, rifugiato in Libano perché ricercato in patria a causa della sua attività sul web. Un’aria bohèmienne. Ordiniamo delle birre, la musica è alta. Nel primo approccio cerco di essere discreta. Temo non voglia parlare apertamente della sua attività di ribelle, web-attivista dissidente. So che è rischioso quello che fa, immagino tema in ogni momento di essere arrestato o sequestrato. Sta mettendo il dito nell’occhio del Grande Fratello di Damasco. E’ fuggito dalla Siria nella quale ha vissuto fino alla scorsa estate, arrestato nel 2008 ora è ricercato. Gli spiego che mi piacerebbe intervistarlo e fargli fare delle foto, ma posso organizzarmi per garantirgli l’anonimato.
Mi dice che non c’è problema, che posso dire il suo nome e cognome, mostrare la sua faccia perché lui ormai non si nasconde più. Dlshad Othman parla con voce calda e tono calmo, sorride. Vorrei regalargli una vocale da mettere tra le prime lettere di quel nome impronunciabile e lo scruto, cercando un soprannome da appioppargli. Ci rivediamo la sera successiva, nel centro di Beirut, e da lì prendiamo un taxi per andare a casa sua. Per precauzione, chiede all’autista di lasciarci in una via un po’ lontana dalla destinazione. Percorriamo quasi al buio e sotto la pioggia gli ultimi 500 metri che ci separano dal suo appartamento. L’ascensore è rotto. Sette, otto piani a piedi, non finiscono più. Accoglie me e il fotografo in un appartamento freddo e spoglio nella periferia moderna della città. Un divano arancione, una stufa a gas, il muro bianco macchiettato dall’umidità. E’ un ex bambino che amava smanettare al computer, ora al suo gioco virtuale sono appese la libertà e la vita di molte persone. Gli chiedo chi sia il suo nemico principale. Mi fissa, sa che vengo da Roma, e sorride: la società italiana Area Spa cui si aggiunge la statunitense Blue Coat.
Queste hanno venduto al regime il sistema operativo che usa per spiare, intercettare e controllare tutti. Sono moltissime le compagnie informatiche che forniscono ai governi i mezzi per controllare e reprimere le opposizioni. Se ne è parlato poco tempo fa all’interno di un’importante inchiesta fatta da Bloomberg news. Ha creato Virtus Linux, un sistema per criptare e proteggere tutti i dati e ora lo sta diffondendo a tutti quelli che ne hanno bisogno, specialmente oppositori e giornalisti. Si muove su Linux e Ubuntu, è open source. In una chiavetta usb grande qualche millimetro hai tutto il sistema necessario a un computer virtuale in cui puoi salvare documenti, files di ogni genere, inviare mail, chattare con messenger o skype.
Molti siriani vengono in Libano con un visto turistico e fanno un training di quattro giorni con lui per capirne bene il funzionamento. Per chi non può muoversi ci sono le istruzioni o il tutorial online. Un gran lavoro. Combatte ogni giorno una rivoluzione sanguinosa, le sue armi sono il laptop e il telefono cellulare con la rubrica vuota. Mi confessa di sapere a memoria più di cinquecento nomi e numeri. “ Sono nel luogo più sicuro, nel quale nessuno può entrare, la mia testa”.
intervista e montaggio di Vittoria Iacovella
immagini Francesco Alesi
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