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sabato 21 aprile 2012

Makers, protagonisti della Terza Rivoluzione Industriale - Wired.it

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Lo aveva detto Chris Anderson, direttore di Wired Us, in un saggio di più di due anni fa, è una specie di mantra in questa edizione del Salone del Mobile e nel mondo del design, e ora lo dice anche l’ Economist: siamo nel pieno della Terza Rivoluzione Industriale, e suoi protagonisti sono i makers, quelli che se hanno un'idea, la realizzano direttamente. La trasformazione è già in atto perché è cominciata con la digitalizzazione dell'industria.

Questa settimana il magazine inglese dedica all'argomento la copertina e un lungo servizio. Con Anderson e gli altri condivide questa visione: verso la fine del 1700 siamo passati dalle singole persone chine sui telai, alle fabbriche tessili che contavano centinaia di lavoratori; verso l'inizio del 1900 è arrivato Henry Ford ed è cominciata la produzione di massa; ora che le tecnologie stanno convergendo e che molto è a portata di un click, si chiuderà il cerchio, in un certo senso. Ovvero: “ le industrie del futuro si focalizzeranno sulla personalizzazione di massa, e potrebbero assomigliare più alle piccole case con i telai che non alle catene di montaggio della Ford”.

Cosa significa? Pensiamo al grande sviluppo delle stampanti 3D e a quello che ormai possono creare semplicemente sovrapponendo strati di materiale. A un designer digitale presto potrebbero bastare pochi gesti per dare forma alle sue idee. Che si trovi in un piccolo villaggio in Africa o nel suo garage in qualche grande città. Con il vantaggio che Internet offre: collaborare a distanza con altri progettisti in qualsiasi momento. Troppo futuristico? Forse, anche in realtà se la stampa 3D viene già usata per produrre componenti hi-tech di jet militari e apparecchi acustici, come ricorda l' Economist. Che immagina un domani in cui non ci dovremo più disperare per un pezzo di ricambio di un oggetto andato fuori produzione.

Ovviamente le possibilità messe in gioco dai nuovi sistemi di produzione e dai nuovi materiali sono solo una parte della storia. Interessante non è solo come le cose verranno costruite, ma anche (se non soprattutto) dove. Perché nei nuovi sistemi il costo della manodopera incide sempre meno. L' Economist fa l'esempio, esplicativo, dell' iPod: la prima generazione di questi gingilli costava 499 dollari, di cui 33 andavano a coprire il lavoro manuale. Il costo dell'assemblaggio finale, in Cina, era di soli 8 dollari.

Il fenomeno non si limita alla produzione di oggetti tecnologici e sembra esserci un trend in corso che vede il ritorno della produzione nei paesi in cui si trovano le aziende. Il motivo è che chi vende vuole rispondere sempre più velocemente alle esigenze di chi compra, e certi prodotti sono così sofisticati che ideatore e realizzatore devono lavorare nella stessa stanza.

Boston Consulting Group, multinazionale di consulenza di management e business, prevede che nelle aree dei trasporti e dei computer, come nell'industria metallurgica e meccanica, entro il 2020, gli Stati Uniti costruiranno in casa dal 10 al 30% di ciò che ora importano dalla Cina.

Il passaggio, per quanto lento, non sarà indolore, come è stato per la Prima e per la Seconda Rivoluzione Industriale. Il problema non sarà per i consumatori, ma per gli imprenditori che non adegueranno il loro sistema di produzione. I governi saranno portati a proteggere le imprese esistenti piuttosto che le idee emergenti, e daranno più peso all'industria manifatturiera che alle società di servizi, scrive il magazine. Ma la linea di demarcazione tra i due settori è sempre meno netta e i politici dovrebbero preoccuparsi di soprattutto di offrire buone scuole e leggi chiare, uguali per tutti gli imprenditori.

(Credit per la foto: crazyoctopus@flickr)

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