Migliorare il proprio status sociale potrebbe essere un toccasana per la salute: infatti il rango di un individuo è talmente influente a livello fisico da modificare l’attività del suo Dna e anche il suo stato di salute. Lo ha stabilito una ricerca pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences e basata non sull’uomo ma sulle scimmie Rhesus, i cui autori però sostengono che se ne possano trarre considerazioni valide forse anche per la nostra specie.
Jenny Tung e colleghi, dell’Università di Chicago, hanno verificato che in 49 femmine di Rhesus che migliorano il loro status sociale all’interno del gruppo si verifica un cambiamento nel comportamento di alcuni geni legati al sistema immunitario con un vantaggio per la salute. In natura la femmina resta nel gruppo in cui è nata “ereditando” il rango sociale della madre. I ricercatori hanno spostato le scimmie in un nuovo gruppo modificando perciò lo stato sociale di ciascuna. A seconda dell’ordine di ingresso in un nuovo gruppo, ciascuna femmina andava a finire su un diverso gradino sociale rispetto a quello da cui era partita, e gli studiosi hanno verificato le ripercussioni di questi cambiamenti sul loro corredo genetico.
La correlazione tra status sociale e attività genetica sarebbe così stringente da reggere alla prova del nove: analizzando il comportamento dei geni sensibili alla posizione sociale, i ricercatori riescono a indovinare con una precisione dell’80% il livello sociale di una scimmia all’interno di un gruppo. In pratica è possibile leggere lo status sociale dell’animale sul suo Dna.
Scendere di rango per le femmine è associato a manifestazioni di stress e a cambiamenti nell’attività dei geni del sistema immunitario. Passare a uno status sociale più alto invece, secondo gli studiosi, modifica in meglio l’attività di quegli stessi geni. “Il nostro studio”, spiegano gli autori, “lascia intravedere la possibilità che, se si migliora la posizione sociale, anche la salute ne può trarre beneficio“.
Esistono anche altri modi per modificare il comportamento dei geni a fin di bene senza bisogno di guadagnare posizioni nella scala sociale, cosa che tra gli umani è forse ancor più difficile che tra i macachi. Un’altra ricerca, questa volta dell’Università della California a Berkeley, ha infatti stabilito che alcune mutazioni genetiche che comportano disturbi, anche gravi, possono essere “corrette” con la dieta.
“C’è ancora un abisso tra la nostra abilità di sequenziare il genoma e la capacità di capire il significato delle variaizoni nelle sequenze”, sostiene Jasper Rine, del Dipartimento di Biologia Molecolare, autore principale dell’articolo pubblicato sulla rivista Genetics. “Questo studio mostra una via per colmare il divario”.
I ricercatori si sono concentrati sull’omocistinuria, una rara malattia metabolica causata da una mutazione genetica, e sono riusciti a distinguere differenti classi di varianti genetiche, da quelle responsabili delle forme più lievi a quelle che causano il tipo più grave della malattia. Ne hanno anche individuata una che è “suscettibile di intervento dietetico” con vitamina B6. Una particolare variante genetica alla base della malattia può, a quanto pare, essere “corretta” arricchendo la dieta del paziente con la vitamina.
Lo studio ha il merito di aver chiarito la funzione di ben 84 varianti nel Dna del gene coinvolto (beta cistationina sintetasi) il che aiuterà i medici a curare i pazienti in base al loro genotipo specifico. Si tratta di un primo passo nella direzione di una maggiore comprensione della variabilità genetica, che dovrebbe consentire in futuro di mettere a punto cure personalizzate, e quindi più efficaci, anche per molte altre malattie.
marta.buonadonna
Giovedì 12 Aprile 2012
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