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lunedì 9 aprile 2012

Perché ci iscriviamo a Facebook - Wired.it

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Perché ci iscriviamo a Facebook
Una ricerca della Cornell University spiega perché decidiamo di entrare a far parte del social network di Zuckerberg. Dipende dalla quantità di amici iscritti? No, dalla loro tipologia
09 aprile 2012 di Cristian Fuschetto
Contrordine. Non è la quantità di amici che hanno un profilo Facebook a convincerti a iscriverti al sito, quel che conta è la loro tipologia. In un certo senso la loro varietà. A dimostrarlo una nuova ricerca di Jon Kleinberg, docente di informatica alla Cornell University, secondo cui non è la somma di amici a influenzare la decisione se iscriversi o meno al social network, quel che fa la differenza è la consapevolezza che sul sito siano presenti gruppi di amici tra loro sconnessi, portatori di interessi differenziati.

Si tratta di dati in netta controtendenza rispetto al passato. Fino ad ora le ricerche sull’influenzabilità delle persone nel prendere decisioni "dall’acquisto di un prodotto, alla scelta di praticare un nuovo hobby “ avevano infatti sistematicamente insistito sull’importanza della quantità di amici orientate a compierle. Se conosci un gran numero di persone che fa una cosa, questa era l’idea, è molto probabile che la faccia anche tu. La ricerca pubblicata ieri da Kleimberg e colleghi sui Proceedings of the National Academy of Sciences rende le cose un pò più complesse.

Il team ha analizzato un’enorme mole di dati provenienti da 54 milioni di mail di invito a iscriversi a Facebook. La piattaforma ideata da Zuckerberg consente infatti a ciascun iscritto di mandare inviti a tutti i contatti della propria rubrica, purché ovviamente non si tratti di persone già in possesso di un profilo sul social network blu. In pratica, le persone che hanno degli account Facebook possono importare i propri contatti nel sito e quindi inviare e-mail di invito agli amici. Oltre al nome del mittente, le mail inviate possono tuttavia segnalare anche i nomi delle persone che, già in possesso di un profilo, hanno a loro volta importato l’indirizzo mail del destinatario dell’invito, nonché di amici della persona che ha inviato l'invito.

Anche grazie alla collaborazione di uno specialista interno all’azienda di Palo Alto, i ricercatori hanno analizzato, invito per invito, le liste di amici elencati e le connessioni all'interno della rete, e hanno quindi verificato se la persona invitata si sia effettivamente iscritta al sito. Il team ha inoltre monitorato i dati sulla frequenza con cui i nuovi iscritti hanno usato il sito nei primi tre mesi dall’adesione. “È subito saltato agli occhi - ha affermato Kleinberg - che l’opzione di iscriversi non corrispondeva al numero di amici segnalati, ma ai diversi gruppi di amici tra loro non già correlati elencati nella mail di invito’’. Non conta la quantità di amici che effettivamente ti invitano, ma in un certo senso conta la varietà di persone che, rimandando a diversi gruppi di amici magari, si scopre siano già iscritte al sito. Il team americano fa un esempio: se nell’invito sono indicate quattro persone, tra loro già amiche sul social network, il destinatario mostra la stessa probabilità di iscriversi dell’ipotesi in cui a essere elencata nella mail sia una sola persona.

Le cose vanno molto diversamente se, invece di quattro persone tra di loro già amiche, compaiono nella mail i nomi di quattro persone che non hanno amicizie dirette. In tal caso le probabilità che il destinatario si iscriva sono più del doppio. Dalla ricerca emerge anche un altro dato: tra i nuovi iscritti, quelli che hanno scoperto di avere almeno 20 amici distribuiti in gruppi differenti hanno mostrato una propensione molto maggiore a frequentare il sito (6 di 7 giorni a settimana nei primi tre mesi) di quelli che hanno stretto amicizia con 20 persone già tra di loro comprese in uno stesso gruppo. Ma perché, più del numero di amici già attivi sul social network, esercita un’influenza decisiva la tipologia degli amici e la diversità dei gruppi?

“I risultati riportati nell’articolo di Sarah C.P. Williams - spiega Maurizio Cardaci, ordinario di Psicologia Generale all’Università di Palermo - non sono poi così sorprendenti dal punto di vista psicologico. Penso ai classici studi sull’apprendimento sociale condotti da Albert Bandura (anni 60) secondo cui l’influenza sociale sul nostro comportamento non è un processo indiscriminato, ma è invece mediata da specifici modelli, ovvero da altri individui che, più o meno consapevolmente, scegliamo come termini di riferimento e che, conseguentemente, tendiamo a imitare o con i quali tendiamo a identificarci. Ecco perché la decisione di iscriversi a Fb non dipende dalla somma di amici (per inciso bisognerebbe interrogarsi sulle trasformazioni del concetto di amicizia nel social web) bensì da un più articolato processo selettivo collegato alla differenziazione fra i vari gruppi di amici. D’altro canto, la differenziazione degli interessi, del tipo di amicizie e, in certo senso, una certa dispersione delle relazioni interpersonali che ciò può implicare mi sembrano in linea con la società fluida, tecnologica e multi-tasking in cui viviamo”. Da un lato, secondo gli psicologi evoluzionisti, noi esseri umani possediamo una tendenza istintiva, risalente al passato ancestrale della specie Homo sapiens, a interagire con piccoli gruppi di persone a noi familiari, piuttosto che con grandi masse di estranei; “ dall’altro - aggiunge Cardaci - le odierne condizioni di vita e le tecnologie digitali hanno moltiplicato i contesti sociali e le occasioni di nuovi contatti e scambi interpersonali. Mi sembra che il fenomeno messo in luce dalla ricerca rispecchi bene l’intreccio di questi due fattori: quello risalente al nostro passato evoluzionistico e quello riferibile alla molteplicità relazionale e comunicativa della realtà di oggi”.
Rimane da capire se l’indice di influenzabilità registrato per la piattaforma di Zuckerberg rimane lo stesso anche al di qua della Rete. Se più amici di Facebook mostrano un interesse per un prodotto, per esempio, si è più propensi ad acquistare il prodotto se quegli amici appartengono a diversi gruppi? James Fowler, sociologo dell'Università di California – San Diego, non coinvolto nello studio, è cauto nell’estrapolare risultati: "Penso che l’influenzabilità di una persona online sia molto differente dal modo in cui possa eventualmente essere influenzata nel mondo reale”.

(Credit per la foto: keaggy/Flickr CC)

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