Filosofiablog

Nowsy.com - your news and info dashboard

CYBERNIX

http://blog.libero.it/MASTERIZZAZIONE/index.rss

Cerca nel blog

domenica 1 aprile 2012

Funziono così - D - la Repubblica

Media_httpdrepubblica_dfuha

Siamo sempre più connessi, ma ci capiamo (e ci aspettiamo di capire) sempre meno. Basterà dare a chi entra nella nostra vita le giuste istruzioni per l’uso? di Mara Accettura
SENTIMENTI
TECNOLOGIA WEB RELAZIONI SOCIAL NETWORK AMORE STORIE
Mariavittoria è lapidaria: «Ditemi la verità, altro non concepisco». Laila tira un filo con due mollette e una striscia di carta con su: «Non prendetemi con le pinze». Giuseppe regge un cappello con una manciata di monetine e i bigliettini: «Give everything. Accept anything». In effetti: non sarebbe più facile girare con un cartello appeso al collo che dice: «Ehi, io funziono così», e usarlo come semaforo prima di qualsiasi incontro? Forse, in tempi di speed dating, ci eviterebbe equivoci, perdite di tempo. Forse sarebbe un modo onesto per far capire chi siamo, cosa ci rende felici e quello che invece ci ferisce: senza giochi, senza mosse tattiche, ammesso che noi lo sappiamo, chi siamo davvero.

Quante volte, aprendo la scatola nera di una storia schiantata, come in quel bellissimo romanzo di Amos Oz, abbiamo decodificato errori fondamentali di comunicazione: abbiamo detto una cosa mentre ne pensavamo una seconda, e magari ne facevamo una terza. Ci siamo resi conto che eravamo macchine fotografiche e ci hanno usato da frullatori, che lievitiamo nel forno a 180° e ci hanno chiuso in ghiacciaia a meno 10, che avevamo bisogno di concime e ci hanno spruzzato pesticida. O che abbiamo preferito ignorare come funzioniamo, nel tentativo di far decollare un rapporto che non sarebbe mai decollato, con conseguente rottura dei nostri ingranaggi.

L’idea delle istruzioni per l’uso, che può sembrare un gioco tenero e ingenuo o un atto provocatorio e narcisista, è venuta a una editor di ebook, Marina Abatista, 28 anni, una somiglianza piuttosto spiccata con Amy Winehouse e una grande facilità coi social network. «Fa parte di una mia riflessione», ci racconta in un locale milanese, «una specie di autoterapia per superare un periodo nero, dopo una storia finita male. Mi sono detta che forse valeva la pena di conoscermi meglio, sapere in anticipo le cose da cui non posso prescindere per non perdere integrità. E questo dovrebbe essere chiaro a tutti, prima mettersi nella mani di qualcuno, amico o fidanzato che sia».
Marina ha mandato email agli amici, tra i venticinque e i trent’anni, chiedendo loro se gli andava di partecipare a un progetto fotografico, in mostra a Pisa e a Milano «tirandoli un po’ per i capelli». E, come succede spesso con internet, la cosa è diventata presto virale. «Non avevo idea del format, poi sono stati gli stessi partecipanti a chiedermi qualcosa di fisico, un libretto che mettesse in gioco anche la loro creatività». C’è chi ha usato i post it e chi la lavagna, chi un fumetto e chi la schermata di un pc. E tanti si sono defilati, perché non è affatto facile pensare a un libretto personale. Persino l’ideatrice ha avuto serie difficoltà quando glielo abbiamo chiesto. «Non lo so. Il fatto è proprio questo, che si riflette poco», dice scuotendo la testa. Poi: «Do tutto e voglio tutto». Perché, forse ci si mette in gioco sempre meno.
E a un certo punto della conversazione - inaspettatamente, per chi ci è cresciuta dentro e ci lavora - Marina se la prende proprio con la rete: «Hai tanti contatti e non riesci mai a chiudere la comunicazione, né sul pc, né sul telefonino: Twitter, Facebook, Skype. Nei rapporti d’amore è facile rincoglionirsi di tweet e sms. Siamo connessi, ma non siamo davvero presenti. Nei miei rapporti vorrei meno parole e più sostanza».
Ah Marina! Forse non lo sai, ma su questo tema la psicologa americana Sherry Turkle, in un libro meraviglioso chiamato Insieme ma soli (Codice Edizioni), dedicato a Rebecca, la figlia diciottenne, ha analizzato che cosa ci sta succedendo da quando abbiamo affidato alla tecnologia la gestione delle relazioni: che ci aspettiamo sempre meno gli uni dagli altri. «Quando è la tecnologia a costruire l’intimità, le relazioni si possono ridurre a semplici connessioni: quindi, la connessione facile si ridefinisce come intimità», scrive Turkle. Usiamo un sms per costruire un rapporto, ma anche per difendercene. Preferiamo scrivere piuttosto che parlare al telefono e piuttosto che incontrarci, per assicurarci contro i rischi e ripararci dalle delusioni. Sembriamo vicini ma siamo lontani, e la nostra cyberintimità scivola in inquietanti cybersolitudini.

«È il modo di esprimersi della nostra epoca, in cui manca il corpo. Evitando di guardarci negli occhi evitiamo una relazione che ci metta veramente in gioco. Nella costruzione virtuale della nostra identità siamo in restyling continuo. Possiamo esser tutto e il contrario di tutto, postponendo la domanda “chi sono davvero io?”, e anche la vita vera», dice la psicanalista junghiana Nicole Janigro che si è più volte imbattuta in questo problema soprattutto nella fascia di età di pazienti che vanno dai diciotto ai trenta anni. «E alla fine conta più il tweet brillante del fatto che “ci sei e ho bisogno di te”», racconta ancora Marina. Nella sintesi estrema del linguaggio, si impoverisce anche la nostra maniera di sentire, il cuore si rimpicciolisce e si atrofizza. «Mentre io do tutto e voglio tutto», dichiara Marina.
Lo scrittore Jonathan Franzen sarebbe d’accordo. Già l’anno scorso ci aveva messo in guardia sul narcisismo di Facebook, dove «interpretiamo i nostri film da protagonisti, ci fotografiamo incessantemente, clicchiamo col mouse e una macchina ci conferma la nostra competenza. E, dal momento che la tecnologia è solo un’estensione di noi stessi, non critichiamo il suo essere manipolabile come facciamo con le persone reali. È un grande loop senza fine. Noi amiamo lo specchio e lo specchio ci ama. Aggiungere una persona come amico, significa semplicemente aggiungere quella persona alla nostra sala privata di specchi compiacenti».
Le relazioni chiedono di più, ma la vita online, che è fatta di premeditazione e rappresentazione, inibisce l’autenticità e i bisogni reali. Di questo passo, secondo la psicologa Turkle, arriveremo presto a voler amare ed essere amati da robot docili e senza pretese, perché a chi interesserà più distinguere l’emozione dalla sua simulazione?

«Sai cosa mi aiuta a contrastare questa tendenza?», dice Marina. «Incontrare le persone che mi conoscono dall’infanzia, quando questi social network non c’erano. Loro ricordano come ero e si rendono conto che la mia immagine internet un po’ indie rock, fatta di Michel Gondry, Cocorosie, Nouvelle Vague e frasi a effetto, non corrisponde a quello che sono. Ecco, io non voglio perdere di vista questi rapporti». Certo, chi conosciamo da sempre ci aiuta ad ancorarci sulla terra. Ma è sempre più difficile mantenere un’attenzione totale e costante anche nei rapporti faccia a faccia. A cena, a letto, al cinema, a un matrimonio, a un funerale, chi è più capace di staccare un cellulare? Di sfuggire alla tirannia dell’email, dell’sms, del post? Mezzi avatar e mezzi zombie, viviamo un curioso multitasking relazionale: mai al 100% sulla terra, né nell’etere.

Questo spazio sconfinato finisce per disorientarci. E allora «vogliamo dare e avere le istruzioni per poter controllare in anticipo quello che succederà. Ma le vere istruzioni sono il lavoro di tutta la vita», dice Janigro. «Nelle cose fondamentali, il primo rapporto sessuale, la gravidanza, l’invecchiamento, non ce ne sono, e questo crea ansia. Devi inventarti tu una tradizione, un modello. E viverli in tempo reale. Incarnandoti. Imparando a far fronte al rischio e all’imprevisto». In tempo reale certo... E possibilmente senza registrare ogni attimo, nella consapevolezza che il presente sarà uploadato e archiviato sul pc e ci sarà sempre qualche spettatore che assisterà al nostro show personale.

Nessun commento:

Posta un commento