Jonah Lehrer ha compiuto 31 anni il 25 giugno. Dopo la laurea alla Columbia University di New York e una collaborazione scientifica nel laboratorio di Eric Kandel, scrive di psicologia e neuroscienze, con la facilità dei predestinati.
Inizia a collaborare con le grandi testate in lingua inglese, “Wired”, “Scientific American Mind”, “Nature”, “Seed”, il “Washington Post” e il “Boston Globe”. E diventa una star con Proust era un neuroscienziato. È il suo primo libro, un best seller in cui esplora le relazioni tra le scoperte più recenti delle neuroscienze e l’arte, la letteratura, le scienze umane. È il 2007. A 27 anni scrive per il “New Yorker”, e a 29 produce il suo secondo libro, Come decidiamo. A 31 arriva il terzo, Imagine: How Creativity Works.
E qui cominciano i guai. Perché già pochi giorni prima del suo compleanno un blogger scopre che ha copiato tre paragrafi – tre paragrafi tre, letteralmente – di un suo pezzo per il “Wall Street Journal” in un articolo per il “New Yorker”. Scuse dell’editore ai lettori, e Lehrer che fa pubblica ammenda per il suo comportamento. Autoplagio, una roba che solo a nominarla da noi fa già ridere.
È solo l’inizio. Poche settimane fa un giornalista della rivista “Tablet” scopre che nel suo ultimo libro, Imagine, Lehrer ha citato alcune frasi attribuite a Bob Dylan che non si trovano da nessuna parte. Chiede ripetutamente ragioni all’autore, che comincia a fornire fonti presso le quali, però, le frasi incriminate non si trovano. Poche righe, ma bastano a scatenare il segugio che c’è in Michael Moynihan, che alla fine di luglio pubblica un articolo di fuoco sulle citazioni di Lehrer, inventate di sana pianta. Lo ammette anche lui, la giovane star delle neuroscienze da salotto (in senso buono). Le frasi attribuite a Dylan sono sue forzature, sue interpretazioni.
E chissenefrega, direbbe a questo punto un saggio direttore. Quattro righe sono un peccato veniale. In fin dei conti c’è un libro intero, e di valore, che per di più ha già venduto 220.000 copie. No, nella patria del fact checking, dove le opinioni sono rigorosamente separate dai fatti, non funziona così. L’editore ritira immediatamente tutte le copie del libro, e Lehrer il 30 luglio rassegna le dimissioni dal prestigioso settimanale, il “New Yorker”, dove aveva assunto l’incarico permanente appena due mesi prima. Il libro? Forse sarà corretto, almeno secondo l’agente, ma la reputazione di Lehrer non sarà più la stessa. Forse riuscirà a ricostruirsi una credibilità, ma ci vorrà del tempo a cancellare la macchia. E tanta pazienza e lavoro sodo.
Funziona così in un posto dove sei responsabile di quello che scrivi. Dove la scienza, la divulgazione e il giornalismo sono sottoposti a una regola rigida ma talmente esplicita da sembrare puerile: sui fatti non si può barare. Facile, no?
Ecco, pensate se una regoletta del genere fosse in vigore in una certa penisola a forma di stivale dove i giornalisti hanno il simpatico vezzo – o vizio, vedete voi – di piegare sistematicamente i fatti alle loro personali e opinabili opinioni o, nel migliore dei casi, di riempire di fretta e senza verificare le fonti le 80 righe da mandare in pagina tra mezz’ora. Io già mi vedo le redazioni mezze deserte, e allegre schiere di opinionisti, inviati e corrispondenti a zappare con vigore i fertili campi della nostra incantevole terra.Scritto in Informazione | 18 Commenti »
Funziona così in un posto dove sei responsabile di quello che scrivi. Dove la scienza, la divulgazione e il giornalismo sono sottoposti a una regola rigida ma talmente esplicita da sembrare puerile: sui fatti non si può barare. Facile, no?
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