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lunedì 28 novembre 2011

Galileo - Giornale di Scienza | Scienza made in Italy (or by Italians)

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Scienza made in Italy (or by Italians)

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di redazione | Pubblicato il 25 Novembre 2011 17:22

I progetti italiani per la diagnosi e la riabilitazione della malattia di Parkinson, i tessuti intelligenti, la microscopia, le patologie legate al Vesuvio e i raggi cosmici. Questa la settimana sulla nostra rubrica.

Dal Cnr arriva la scoperta che la fluorosi scheletrica, una malattia metabolica invalidante che colpisce le ossa e le articolazioni, causata dalle alte concentrazioni di fluoro caratteristiche delle zone vulcaniche, è endemica nell’area vesuviana. Ne soffrivano infatti anche i vecchi abitanti di Ercolano, le vittime cioè dell’eruzione vulcanica del 79 d.C. Lo sostengo i ricercatori dell’ Istituto per i materiali compositi e biomedici del Consiglio nazionale delle ricerche di Portici (Imcb-Cnr) e dell’Università Federico II di Napoli, che hanno studiato 76 scheletri dell’area risalenti a circa duemila anni fa. I risultati delle analisi hanno mostrato un notevole aumento del fluoro con l’età negli scheletri, correlato a lesioni della colonna vertebrale e delle articolazioni. Questi sintomi, insieme a dermopatie, ipertiroidismo e alti livelli di fluoro nel sangue, sono ancora presenti e diffusi nella popolazione locale, come dimostrato dai test condotti su un campione di bambini delle zone, confermando il carattere endemico della patologia. Lo studio, guidato da Pier Paolo Petrone del Museo di antropologia della dell’Università Federico II è stato pubblicato su Plos One.(Enduring Fluoride Health Hazard for the Vesuvius Area Population: The Case of AD 79 Herculaneum, Pierpaolo Petrone, Michele Giordano, Stefano Giustino, Fabio M. Guarino, PLoS ONE 6(6): e21085. doi:10.1371/journal.pone.0021085).

Un transistor costituito da un filo di cotone, ricoperto di nanoparticelle d’oro e di polimeri conduttivi e semiconduttivi. A realizzare il dispositivo elettronico indossabile, utile per lo sviluppo di sensori da utilizzare per monitorare il battito cardiaco, la presenza di inquinanti o le performance atletiche sono stati Annalisa Bonfiglio e Giorgio Mattana dell’Istituto nanoscienze del Consiglio nazionale delle ricerche e dell’Università di Cagliari e Beatrice Fraboni dell’Università di Bologna. Lo studio, pubblicato su Organic Electronics rappresenta un notevole passo avanti nella creazione di tessuti intelligenti. Fino a oggi infatti il problema principale era stato quello di unire le caratteristiche dei dispositivi elettronici (rigidità, ingombro e materiali utilizzati, come metalli e semiconduttori) alla comodità degli indumenti. Con il filo-transistor invece è possibile realizzare componenti elettronici indossabili grazie alla possibilità di annodarli e tesserli tra loro. (Organic electronics on natural cotton fibres, Giorgio Mattana, Piero Cosseddu, Beatrice Fraboni, George G. Malliaras, Juan P. Hinestroza, Annalisa Bonfiglio Volume 12, Issue 12, December 2011, Pages 2033-2039, doi:10.1016/j.orgel.2011.09.001).

Si chiama IML-SPIM e arriva dall’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), il microscopio ottico grazie al quale sarà possibile studiare le molecole all’interno dei tessuti biologici in versione 3D e nel tempo, mentre cioè le cellule effettuano le loro funzioni. Il nuovo dispositivo – acronimo di “localizzazione di singola molecola” (IML) e “microscopio a selezione del foglietto d’illuminazione” (SPIM) - permette di ottenere immagini ad altissima risoluzione ed è dotato di una speciale tecnica di navigazione in 3D che analizza il campione per singole sezioni ottiche (o foglietti). Come ha spiegato Francesca Cella Zanacchi dell’IIT a capo dello studio: “Il nostro obiettivo è di visualizzare con altissima precisione l’attività molecolare delle cellule, mentre queste eseguono le loro normali funzioni nel loro ambiente. Pensiamo che la IML-SPIM possa dare un importante contributo alla comprensione di quei meccanismi cellulari legati a malattie neurodegenerative, come l’Alzheimer e il Parkinson, o a malattie oncologiche”. A partecipare alla ricerca, pubblicata su Nature Methods, anche l’Università di Genova e il Campus IFOM-IEO di Milano. (Live-cell 3D super-resolution imaging in thick biological samples, Francesca Cella Zanacchi, Zeno Lavagnino,Michela Perrone Donnorso, Alessio Del Bue, Laura Furia, Mario Faretta & Alberto Diaspro, Nature Methods (2011) doi:10.1038/nmeth.1744).

A chi si interessa di scienze e astronomia, capita di leggere notizie sui raggi cosmici almeno una volta ogni due settimane. Nonostante tutte le ricerche condotte finora, però, la loro origine è ancora un mistero. A sollevare un po’ il velo è ora il Large Area Telescope (LAT), che si trova a bordo dell’osservatorio spaziale Fermi della Nasa. Le sue immagini, pubblicate su Science, mostrano che questi raggi vengono accelerati nelle stesse regioni in cui si formano le stelle massicce, zone dell’Universo che gli astrofisici chiamo superbubble. “Il LAT  ha rivelato un eccesso di raggi gamma di alta energia che riempiono le cavità scavate dall’attività delle migliaia di stelle massicce in Cygnus X, a 4.500 anni luce dal Sistema Solare”, ha spiegato sul sito dell’Inaf Luigi Tibaldo, ricercatore presso l’Università di Padova e l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn): “Stiamo osservando giovani raggi cosmici con energie di migliaia di miliardi di elettronvolt, che sulla Terra sono raggiunte solo nei più potenti acceleratori di particelle. Questi raggi cosmici hanno appena cominciato il loro viaggio nella Galassia e noi li possiamo seguire grazie alla radiazione gamma che emettono quando interagiscono con il tenue gas interstellare o con la luce emessa dalle stelle e dalle nebulose”. Lo studio fa il paio con quello dei ricercatori dell’Inaf che su Astrophysical Journal Letters hanno appena pubblicato i dati del satellite italiano Agile, di cui abbiamo parlato lo scorso 23 novembre (vedi Galileo, “All’origine dei raggi cosmici”) (M. Ackermann; M. Ajello; A. Allafort; B. Berenji; R.D. Blandford; E.D. Bloom; A.W. Borgland; E. Bottacini; R. Buehler; R.A. Cameron; J. Chiang; R. Claus; E. do Couto e Silva; P.S. Drell; W.B. Focke; T. Glanzman; G. Godfrey; M. Hayashida; A.S. Johnson; T. Kamae; M. Kerr; J. Lande; P.F. Michelson; W. Mitthumsiri; M.E. Monzani; I.V. Moskalenko; S. Murgia; P.L. Nolan; A. Okumura; E. Orlando; D. Paneque; D. Prokhorov; T. Tanaka; J.G. Thayer; J.B. Thayer; A. Tramacere; Y. Uchiyama; J. Vandenbroucke; G. Vianello; A.P. Waite; P. Wang at SLAC National; DOI: 10.1126/science.1210311).

Infine, due segnalazioni dalle pubblicazioni online in anteprima di Nature. Il primo è dell’Università di Torino e dell’Ospedale San Giovanni Battista, sui linfomi dei linfociti B, condotto insieme al Cancer Institute della New York University School of Medicine. I ricercatori hanno rivelato un meccanismo che contribuisce alla formazione di questo tumore del sangue (FBXO11 targets BCL6 for degradation and is inactivated in diffuse large B-cell lymphomas; Shanshan Duan,  Lukas Cermak,  Julia K. Pagan,  Mario Rossi, Cinzia Martinengo, et al. Nature doi:10.1038/nature10688). 

Il secondo parla, invece, di tettonica, cercando di spiegare l’orogenesi, ovvero il sollevamento, delle Ande e di alcune strutture geologiche dell'America del Sud (“Subduction dynamics and the origin of Andean orogeny and the Bolivian orocline”, F. A. Capitanio,  C. Faccenna,  S. Zlotnik &  D. R. Stegman Nature doi:10.1038/nature10596).

Passiamo ora a un importante riconoscimento ottenuto dalla Scuola superiore di studi avanzati (Sissa) di Trieste. Il suo progetto Parkscreen per un test diagnostico della malattia di Parkinson si è aggiudicato il primo premio (da 100 mila euro) del Working Capital PNI 2011 per la sezione Bio&Nanotech. Il progetto è del laboratorio di neurogenomica ed è portato avanti insieme all'Università di Trieste. Propone un test basato sull’analisi dell’espressione genica nel sangue, che verrà effettuato in esclusiva da un laboratorio di diagnostica genomica istituito ad hoc dai proponenti. Il test di biologia molecolare si propone di offrire al medico uno strumento per una diagnosi il più possibile precoce della malattia di Parkinson. L’invenzione è stata realizzata grazie all’attività di ricerca svolta dai promotori di Parkscreen diretta da Stefano Gustincich, in collaborazione con la Clinica neurologica dell’Azienda ospedaliero-universitaria “Ospedali Riuniti di Trieste”, diretta da Gilberto Pizzolato, professore della facoltà di medicina dell'Università di Trieste.

Ricordando che il 26 novembre si celebra la giornata mondiale della malattia di Parkinson, segnaliamo che prende il via anche un altro progetto, questa volta europeo, coordinato dall’Università di Bologna. Si chiama Cupit (Closed-loop system for personalized and at-home rehabilitation of people with Parkinson’s disease);l’obiettivo è di mettere a punto un sistema di riabilitazione a domicilio, sotto la supervisione di un clinico, portando a casa dei pazienti la tecnologia: sensori wireless e realtà virtuale.

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