Chiamato BH3 profiling, valuta due popolazioni di proteine mitocondriali, una delle quali promuove i meccanismi di autodistruzione cellulare, mentre l'altra li ostacola Un test che può predire l'efficacia della chemioterapia sulle cellule tumorali è stato progettato da ricercatori del Dana-Farber Cancer Institute, che ne parlano in un articolo pubblicato su Science Express.
Il test è stato sviluppato sulla base di un'ipotesi che, pur non confutandola, richiede però una revisione delle teorie sui meccanismi d'azione di farmaci antitumorali e in particolare su quale sia il loro bersaglio d'elezione. I ricercatori hanno infatti scoperto che a essere più sensibili alla chemioterapia sono le cellule tumorali che sono più vicine a una "soglia apoptotica", il cui stato interno cioè è vicino a quello che innescherebbe i meccanismi di autodistruzione cellulare programmata.
"Quando in una cellula vi è un danno così esteso da non poter essere riparato, le cellule avviano un processo noto come apoptosi, in cui esse si sacrificano per evitare di trasmettere il danno alle cellule discendenti", spiega Anthony Letai, che ha diretto lo studio. I ricercatori del Dana Faber sono riusciti a sviluppare una tecnica, chiamata BH3 profiling, che permette di misurare quanto le cellule siano vicine a quel "punto di rottura". La tecnica si focalizza sui mitocondri - le strutture cellulari da cui normalmente parte il segnale d'innesco dell'apoptosi - e sulle proteine della famiglia BCL-2 che vi sono contenute. All'interno dei mitocondri, alcune proteine BCL-2 promuovono infatti l'apoptosi, mentre altre la ostacolano. La frazione che predomina determina se la cellula vivrà o andrà incontro al suicidio programmato.
Nello studio, i ricercatori hanno dapprima usato la tecnica su cellule di mieloma tratte di pazienti che stavano per essere sottoposti a chemioterapia. "Abbiamo trovato una forte correlazione tra le cellule tumorali più prossime al punto di innesco dell'apoptosi e quelle che erano più sensibili alla chemioterapia", afferma Letai, che spiega come tale correlazione sia stata successivamente confermata su 85 pazienti affetti da mieloma multiplo, leucemia mieloide acuta, leucemia linfoblastica acuta e tumori ovarici. La chemioterapia si è poi rivelata più efficace nei tumori che avevano un maggiore innesco mitocondriale. I risultati, dicono gli autori dello studio, suggeriscono che le attuali conoscenze sulle ragioni per cui la chemioterapia funziona debbano essere riconsiderate.
La spiegazione standard, secondo cui la chemioterapia agirebbe in primo luogo sulle cellule in rapida crescita, come le cellule tumorali, non dà pieno conto di alcune osservazioni. Così, ci sono diversi tipi di tumori a rapida crescita che non sono sensibili agli agenti chemioterapici, e diversi tipi di tumori a crescita lenta che lo sono. E sebbene la chemioterapia attacchi cellule normali in rapida crescita, come quelle del midollo osseo, molti tipi di cellule anch'esse in rapida trasformazione, come quelle della pelle, non sono altrettanto danneggiate dalla chemioterapia.
martedì 1 novembre 2011
HOMO CYBERNETICUS - Frustrazione ciibernetica
via blog.libero.it
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