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L'Alzheimer si trasmette da neurone a neurone
Le proteine che causano la malattia si diffondono come un'infezione tra le cellule cerebrali. Lo spiega una ricerca pubblicata su Journal of Neuroscience
29 giugno 2012 di Chiara Chiara Di Martino
Il sospetto che agisse in modo simile a un’infezione era già emerso da alcuni studi condotti sugli animali, ma oggi da una nuova ricerca pubblicata sul Journal of Neuroscience arriva la conferma che il morbo di Alzheimer, la forma più comune di demenza degenerativa che provoca gravi deficit nella memoria e nell’apprendimento, si trasmette da neurone a neurone.
L’invalidante patologia è stata descritta per la prima volta nel 1906 e anche se oggi se ne conoscono decorso, epidemiologia e clinica, alcuni dei meccanismi alla base della sua comparsa (e quindi della eventuale prevenzione) sono ancora sconosciuti. Ricercatori svedesi della Linköping University sono riusciti a dimostrare che le proteine tossiche all’origine del morbo si trasferiscono da neurone a neurone. Ci sono arrivati conducendo esperimenti su neuroni colorati: il team, sotto la guida di Martin Hallbeck, anatomo patologo, ha descritto dunque il processo con cui queste cellule vengono invase da proteine malate che vengono poi trasmesse a quelle vicine.
“La diffusione del morbo di Alzheimer, che può essere studiato tramite i cervelli di pazienti che ne sono affetti – ha spiegato Hallbeck -, segue sempre il medesimo schema. Ma finora non era stato capito come e perché”. La malattia inizia a svilupparsi nella corteccia entorinale, parte della formazione dell’ ippocampo situata bilateralmente nelle regioni mediali dei lobi temporali, e proprio all’ippocampo viene trasmessa prima di diffondersi in ulteriori zone del cervello: entrambe le aree – corteccia entorinale e ippocampo - sono coinvolte nel funzionamento della memoria. Finora sono due le proteine identificate come connesse all’ Alzheimer: la betamiloide e la tau. La prima sembra avere un ruolo nelle sinapsi, dove i neuroni si scambiano segnali; la seconda si trova negli assoni (le fibre che collegano i neuroni) dove ricopre una funzione di stabilizzazione.
Nei pazienti affetti da Alzheimer, però, qualcosa non va per il verso giusto nei meccanismi che riguardano queste due proteine: le autopsie, infatti, rivelano accumuli eccessivi di entrambe. Il perché non è ancora chiaro, ma ciò che è noto è che non è attribuibile a questi accumuli (chiamati placche), almeno non esclusivamente, il danno provocato ai neuroni. Invece, gruppi più piccoli di betamiloidi, chiamati oligomeri, sembrano essere la forma tossica che distrugge gradualmente le cellule cerebrali. “Volevamo sapere se questi oligomeri possono trasferirsi da neurone a neurone – ha detto Hallbeck -: prima di noi ci avevano provato altri ricercatori, ma finora il meccanismo non era stato chiarito”. I ricercatori svedesi della Linköping sono partiti da colture neuronali, iniettandovi con un ago molto sottile questi piccoli gruppi di betamiloidi, colorati con una sostanza rossa fosforescente chiamata Tmr. Il giorno successivo, anche i neuroni vicini si erano tinti di rosso. Per capire come questo potesse accadere, gli studiosi hanno condotto una serie di esperimenti con neuroni umani maturi colorati di verde e poi mescolati ad altri rossi. Dopo circa un giorno, circa la metà delle cellule verdi era entrata in contatto con alcune di quelle rosse. Dopo altri due giorni, gli assoni avevano perso la loro forma e gli organelli nel nucleo cellulare avevano iniziato a danneggiarsi.
“A poco a poco si sono ammalate sempre più cellule verdi – ha chiarito Hallbeck –: quelle che non erano state accostate agli oligomeri non sono state colpite”. I risultati dello studio svedese, dunque, ampliano le speranze di migliorare la comprensione dell’ Alzheimer e quindi di individuare trattamenti più efficaci. Soltanto pochi mesi fa, a febbraio, erano stati pubblicati gli esiti di altre due ricerche, una del Taub Institute for Research on Alzheimer’s Disease and the Aging Brain della Columbia University, e uno dell’ Alzheimer's Disease Research Center at Massachusetts General Hospital: esperimenti condotti su topi geneticamente modificati mostravano la presenza della proteina tau che provocava la morte delle cellule nella corteccia entorinale e, nel giro di due anni, questa distruzione si propagava alle cellule vicine.
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