Il mondo della politica torna a parlare di legge elettorale e già ci sono levate di scudi. C'è chi decreta la fine del bipolarismo, chi chiede a gran voce il ritorno delle preferenze. E le lotte intestine rischiano di spaccare Partito democratico e Popolo delle libertà. Ci sono ottimi motivi per riformare l'attuale legge elettorale (passata alla storia con il soprannome Porcellum), ma già che ci siamo potremmo domandarci: in generale, qual è il miglior sistema di voto? Un sistema elettorale giusto dovrebbe rispondere a dei requisiti semplici e cruciali, per esempio dovrebbe essere:
Democratico: non ci possono essere dittatori, ovvero un singolo individuo che decide per tutti;
Rappresentativo: se tutti preferiscono il candidato Paperino al candidato Pippo, allora l'esito dev'essere a favore di Paperino;
Indipendente dalle minoranze: se tutti preferiscono Paperino rispetto a Pippo, l'esito non deve cambiare se per caso cambiano altre preferenze per i candidati minori (del tipo se Pippo è a sua volta considerato migliore di Topolino, o viceversa).
Requisiti fin troppo semplici e ovvi, su cui possiamo trovarci pacificamente quasi tutti d'accordo. Ma qual è il sistema di voto migliore per soddisfarli tutti e tre? Nessuno. No, non è un lamento qualunquista: è la classica affermazione della teoria dei giochi nota come teorema di impossibilità di Arrow. Lo dimostrò l'economista Kenneth Arrow nel 1951, proprio mentre cercava di trovare un sistema elettorale ottimale - ricerca che gli fece vincere il premio Nobel per l'economia nel 1972.
Arrow ha dimostrato che qualsiasi sistema di voto semplice a cui partecipino più di due partiti non può soddisfare tutte e tre le condizioni di cui sopra. Non importa quanto raffinata o arzigogolata sia la legge elettorale, si violerà per forza una delle tre condizioni di cui sopra. In particolare, dato per assodato che nessuno (si spera) voglia una dittatura, questo significa che inevitabilmente le elezioni possono portare a far vincere un candidato che non piace alla maggioranza degli elettori.
Il caso più banale è ben noto. Immaginiamo di avere due candidati simili fra loro, Pippo e Pluto, tra i quali si divide il voto, e un terzo candidato, Paperino. Presi uno alla volta, in una competizione a due, sia Pippo sia Pluto batterebbero senza problemi Paperino. Ma quando si mettono tutti e tre insieme, Pippo e Pluto si devono dividere i voti di chi non vuole Paperino: sebbene quindi la maggioranza preferisca Pippo o Pluto rispetto a Paperino, Paperino si trova a vincere le elezioni.
Questo meccanismo inoltre favorisce il cosiddetto voto tattico, facendo sì che convenga per esempio rovesciare tutti i voti sul più forte dei due candidati simili anche se, a priori, ne preferiremmo un altro. Turarsi il naso e votare chi conviene, invece di chi vogliamo davvero.
Fin qui niente di nuovo. Ma il teorema di Arrow è molto insidioso. Nel 2010 in Inghilterra, proprio nella speranza di evitare questi problemi, il partito dei Liberal Democrats insistette e ottenne un referendum per cambiare radicalmente la legge elettorale. Il sistema che volevano introdurre era il cosiddetto alternative vote: invece di fare una singola crocetta sul candidato preferito, il votante avrebbe messo i candidati in ordine di preferenza. Se nessun candidato ha la maggioranza assoluta come prima preferenza, si tolgono le prime preferenze per il candidato di minoranza assoluta e si vanno a contare le seconde preferenze, etc. fino a trovare una maggioranza assoluta.
Secondo i promotori del referendum, questo sistema avrebbe corretto le storture (voto tattico e dispersione dei voti) del sistema elettorale normale, in quanto ogni votante avrebbe potuto dare onestamente le sue preferenze e, se il candidato preferito non avesse avuto speranze di vincere, si sarebbe contata la seconda alternativa. Per la cronaca, il referendum ha perso e nel Regno Unito è rimasto il sistema maggioritario secco, ma anche se avesse vinto, il teorema di Arrow avrebbe annientato le buone intenzioni dei proponenti.
Per capire perché, il matematico Donald Saari, dell'Università della California, fa un semplice esempio. Immaginiamo di avere 15 persone che devono decidere se bere latte (L), vino (V) o birra (B). Per decidere, scrivono su un foglietto le bevande nell'ordine in cui le preferiscono.
Contando solo i voti della bevanda preferita in assoluto, come in un'elezione normale, il latte sembra essere il vincitore, con sei voti contro 4 e 5. Questo però scontenta molto la maggioranza degli elettori, che chiaramente mette il latte per ultimo. Se usassimo l' alternative vote? Il voto preferito di minoranza (il vino, con 4 voti) verrebbe scartato e si conterebbero le seconde preferenze. Avremmo così 6 voti per il latte e 5+4=9 per la birra. Ma è il risultato migliore? Non sembra chiaro: solo 5 persone lo mettono come prima preferenza, e ben 6 lo mettono per ultimo.
In realtà, se si vanno a guardare le preferenze, il vincitore morale dovrebbe essere il vino! Infatti questo non è mai ultimo: è il preferito in 4 casi e secondo in 11. Come tale è la scelta che scontenta meno persone. Eppure nessuno dei due sistemi elettorali lo farebbe vincere.
Questo ha portato Saari a concludere che “ i risultati di un'elezione dicono di più sulla legge elettorale che sui desideri degli elettori”. Infatti è quasi sempre possibile trovare un sistema di voto apparentemente onesto e giustificabile capace di far vincere qualsiasi candidato, a prescindere dalle preferenze dei lettori.
Esiste una via d'uscita da questo scenario? Sempre secondo Saari, la migliore legge elettorale è il cosiddetto metodo Borda, dal nome del francese che lo concepì nel 1770. Oggi viene usato pochissimo - precisamente in Slovenia, Kiribati e Nauru. Con questo metodo, alla preferenza viene associato un punteggio: per esempio 2 punti al primo, 1 punto al secondo e 0 al terzo. Sommando poi tutti i punti, si trova il risultato dell'elezione. Con questo metodo, sommando i punti, nel nostro esempio il vino avrebbe vinto di gran lunga, con 19 punti contro 14 per la birra e 12 per il latte. Ma non è solo un giocattolo: Saari ha analizzato per esempio i sondaggi elettorali delle elezioni presidenziali statunitensi del 2000 - e con questo metodo, contando anche le preferenze dei votanti per Ralph Nader, Al Gore avrebbe vinto le elezioni, non George Bush.
Purtroppo però anche il metodo Borda soccombe al solito teorema di Arrow: anche questo metodo può generare risultati falsati (anche se è più difficile dimostrarlo). Inoltre conviene molto il voto tattico: se c'è un candidato che non ci dispiace troppo rispetto al nostro preferito, ma che è particolarmente temibile, conviene metterlo ultimo per farlo perdere.
Ma c'è un'alternativa radicale: il cosiddetto voto a punteggio o range voting. In questo caso non si fanno più scalette di preferenze, ma semplicemente si assegna a ogni candidato un punteggio, diciamo da zero a dieci. Un po' come si fa per i voti dei tuffi alle Olimpiadi. Alla fine, vince chi ha la maggiore somma dei punti.
Può sembrare molto simile al metodo Borda, ma c'è una differenza fondamentale: questo è l'unico metodo che può violare il demoniaco teorema di Arrow! Il teorema infatti si applica solo a tutti i sistemi di voto che impongono di assegnare un ordine di preferenza tra i candidati. Ma qui due o più candidati possono avere lo stesso punteggio, e posso assegnare il punteggio che voglio: 0 a tutti o 10 a tutti, al limite. Inoltre il voto a punteggio permette all'elettore di esprimere pienamente la sua opinione: per esempio, non dando nessun punteggio a un candidato su cui non ha opinione, o dando punteggi egualmente alti (o bassi) a candidati che reputa egualmente degni o indegni.
In pratica anche qui ci sono delle trappole, tra cui il solito voto tattico, aggravato dalla circostanza che ogni scheda elettorale può avere un peso molto diverso (se 9 persone danno 1 punto a Pippo e 0 a tutti gli altri, e io do 10 punti a Paperino e 0 a tutti gli altri, vince Paperino anche se nessun altro lo voleva). Inoltre ha delle proprietà considerate ripugnanti dagli studiosi di scienze politiche, come il fatto che un candidato che non è il preferito di nessuno ma che viene più o meno valutato decentemente da tutti può facilmente vincere un'elezione. E in effetti per ora, Olimpiadi a parte, nessuno lo usa.
Il voto a punteggio ha però agguerriti sostenitori online, specialmente tra i geeks - per esempio un matematico del Mit, Warren D. Smith, ha creato un esaustivo sito di propaganda per il voto a punteggio dove spiega fino allo sfinimento i vantaggi matematici del metodo. Smith sostiene che simulazioni al calcolatore indicano che il voto a punteggio è comunque, in circostanze realistiche, il più resistente, ovvero quello dove il risultato finale soccombe meno al voto tattico, nonché in media quello che dà un risultato più corrispondente alla volontà degli elettori.
A meno di seguire un'alternativa apparentemente pazzesca, che è la lotteria dei voti. Ovvero, si vota normalmente, con una crocetta sul candidato preferito, e poi si estrae a caso una scheda dall'urna, che nomina il vincitore. Più è votato un candidato, più è probabile che venga estratto, e in questo senso è un metodo del tutto onesto e rappresentativo. In questo caso ogni voto strategico perde di senso: il modo migliore per sperare che il proprio candidato vinca è votare, semplicemente, per il proprio candidato. Ovviamente però, un colpo di fortuna può far eleggere un candidato di assoluta minoranza.
Follia? Può darsi, ma almeno uno studioso di legge, Akhil Reed Amar a Yale, lo ha discusso seriamente. Isaac Asimov ipotizzò un sistema simile in un racconto di fantascienza, diritto di voto (" franchise") del 1955, dove l'intelligenza artificiale Multivac seleziona ogni anno un'unica persona come elettore. Einstein è stato smentito quando diceva che “ Dio non gioca a dadi”: chissà se un giorno saremo costretti ad ammettere che affidarci al caso è il miglior modo di far funzionare la democrazia.
(Credit per la foto: Corbis Images)
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