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sabato 31 marzo 2012

Neuroni specchio, a che punto siamo?

Su “Il Discorso” del 16 gennaio 2012, Vito Digiorgio, parlando di un libro di recente pubblicazione che vede la prefazione di Giacomo Rizzolatti, “Io sono il tuo specchio” (Amrita Edizioni, 2011), così scrive: “La tesi sostenuta nel libro è che questo meccanismo non sia limitato alle azioni fisiche, ma valga anche per la sfera delle sensazioni. I neuroni specchio risuonano anche nelle nostre emozioni”...

E prosegue: “Vedendo la tristezza in un uomo e riconoscendola, anche noi ne facciamo empaticamente esperienza, la proviamo in ugual modo. Si tratta come si può capire di un’argomentazione forte, che ha subito varie contestazioni. Di queste la più nota è quella prodotta da Paolo Pascolo, bioingegnere dell’Università di Udine, che nel 2006 (2008 per la precisione - NdR) ha negato l’esistenza dei neuroni specchio, spiegando come nel cervello umano non ci sia l’evidenza scientifica del verificarsi di questi meccanismi. Il risultato di questa obiezione ha consentito in realtà una serie di sperimentazioni che hanno riconfermato l’esistenza di questi neuroni; l’ultima in ordine di tempo è stata firmata da Marco Iacoboni, docente alla Facoltà di Medicina a Los Angeles, nel 2010”. [1]

Il commento di Digiorgio è estremamente interessante per tre motivi: in primo luogo perché mostra che le mie “contestazioni” non erano poi così campate per aria, se hanno scomodato ricercatori di chiara fama a eseguire nuove sperimentazioni, anche a Los Angeles; in secondo luogo perché “l’obiezione” non è stata (stranamente) citata nelle bibliografie degli sperimentatori, bensì nelle reference di ricercatori non direttamente connessi con il gruppo dei “sostenitori” del neurone specchio; infine perché uno degli autori del libro, Matteo Rizzato (l’altro è Davide Donelli), aveva già argomentato con lo scrivente sul meccanismo dei neuroni specchio, ponendosi in una prospettiva critica. [2]

Poniamo dunque sul tavolo un ragionamento partendo da lontano e cercando, se possibile, di toccare le corde a tutti, siano essi specialisti, divulgatori o semplici entusiasti. Qualunque argomento, come ha sottolineato anche Umberto Eco nel “Pendolo di Foucault”, assume consistenza se è proposto in modo insistente e verosimile, come succede in particolare con l’avvento del consumismo nel campo dell'economia, della neuroeconomia, delle pomate dimagranti e dei miracoli… Rispetto alla legge della domanda e dell'offerta (fame-pane), l’era consumistica ha prodotto un vero e proprio rovesciamento di senso: in molte circostanze è stata infatti l’offerta a generare la domanda. E anche in questo caso, a mio parere, l’offerta ha nutrito le applicazioni e ha dato una certa “consistenza” al modello.

In effetti, nel 1996 è stata scritta una nuova pagina delle neuroscienze, con l’annuncio che nell’area F5 del cervello dei macachi è stata individuata sperimentalmente una popolazione di neuroni aventi speciali caratteristiche. Da un esperimento (peraltro cruento per l’animale) che poteva avere diverse chiavi di lettura ne è stata scelta una specifica: “sono stati trovati i Neuroni Specchio (NS)”. L’entusiasmo che ne è seguito ha creato una sostanziale discontinuità nelle procedure di validazione: in pratica si è dato per scontato che sui macachi siano state eseguite misure inequivocabili che non lasciavano alcuna ombra di dubbio. Se così fosse stato, le mie obiezioni sarebbero subito cadute nel vuoto e così pure anche le voci di tanti altri ricercatori che continuano a porre in dubbio l’esistenza dei neuroni specchio. Comunque dei neuroni specchio si continua a parlare, nei campi più disparati.

La comunità scientifica era forse in attesa di un paradigma semplice per le scienze cognitive? Certo, comportamenti “specchio” quali l’empatia, l’apprendimento, l’imitazione, il linguaggio, parrebbero poter essere spiegati attraverso l’attribuzione di determinate proprietà ad alcuni particolari ammassi neuronali. Ma quel che non torna non è il significato simbolico del neurone specchio: non torna il funzionamento in termini circuitali e bio-elettrici; in parole povere non tornano le scansioni temporali.

Le relazioni tra animali, la competizione per il cibo, la predazione e le tecniche di difesa, ma anche il tennis, il pugilato, la direzione d’orchestra, il canto corale e il contrappunto ecc. vivono grazie alla comprensione dell’intenzione d’azione e non grazie alla mera comprensione dell’azione. Se si legge con attenzione lo studio che ha descritto l'esperimento originario (1996) e si esamina la base dei tempi delle figure riportate, ci si rende conto che è difficile desumere da tale esperimento il passaggio concettuale fra l’intenzione d’azione e la comprensione dell’azione.

La teoria del neurone specchio si sostenne inizialmente grazie al neurone della scimmia che “sparava” sia quando era la scimmia a prendere il cibo, sia quando osservava compiere tale azione da parte dello sperimentatore: è proprio questa frase a essere usata come incipit di molti articoli scientifici. Ma la scimmia osservava o “pensava” a qualcos’altro, come ad esempio a come prendere il cibo con un braccio bloccato. Inoltre, sempre con riferimento all’esperimento citato, la simulazione “automatica” per la comprensione dell’azione "osservata" sarebbe inutile anche dal punto di vista della sopravvivenza (leggasi predatore-preda e tempo di reazione e tempo di reazione psicotecnico).

Come effetto di una qualunque interazione tra l'individuo e l’ambiente esterno (i propri simili, una pietra, i suoni, i paesaggi ecc.) troveremo delle attività cerebrali; al contrario, il cervello sarebbe morto. Associazioni d’idee? Parliamo pure di effetto trigger, ma non di specchio. Non deve dunque stupire che studiando un qualunque fenomeno con la fMRI, piuttosto che con gli elettrodi impiantati, si possano rilevare “attività” registrabili e coerenti. Allora, sono stati “identificati” questi neuroni o piuttosto è stato rilevato un epifenomeno, già delineato da Aristofane, formalizzato dalla Gestalt e che ognuno può notare interrogando se stesso? E’ la stessa domanda che si erano posti anche alcuni ricercatori olandesi come Sebo Uithol e colleghi con un articolo dal titolo significativo: “When Do We Stop Calling Them Mirror Neurons?”

E io vi attribuisco questo significato: se cercando di scoprire le proprietà dei neuroni specchio vi ritroviamo tutte le proprietà possibili e immaginabili, ossia tutte quelle che sotto varie forme le scienze umane, come la psicologia, la sociologia, la neurologia, avevano già classificato, è sufficiente tornare al punto di partenza. Ossia, chiamiamoli neuroni e attribuiamo il significato di specchio a un modello concettuale, tanto per districarsi nella complessità che permea il direttorio mente e cervello. Il termine specchio semmai dovrebbe essere attribuito a una classe di proprietà o anche alle modalità funzionali del cervello e non a una popolazione di neuroni individuabile. E' per questa ragione che, a mio giudizio, in quell’esperimento del 1996 e nei successivi le somme sono state tirate troppo in fretta: lo stesso lavoro di Iacoboni del 2010 lascia ancora aperta la questione. Non è un caso che Biomedical Science Instrumentation nel 2011 riporti una valutazione dubitativa riguardo l’interpretazione dei risultati ottenuti a Los Angeles.

Io sono un ingegnere, un bioingegnere per la precisione. Nella mia vita professionale, come ingegnere, ho sempre avuto a che fare con le scienze matematiche, ossia con quelle scienze che poggiando sui numeri fanno sembrare – e sottolineo sembrare – che si possa giungere a soluzioni prive di errore; e che, nell’applicazione dei modelli alla realtà pratica, si possa rifuggire da interpretazioni errate attraverso procedure di calcolo. La scelta delle procedure di calcolo non è però univoca, ma semplicemente di solito ne viene privilegiata una: quella tesa a ridurre semplicemente il distacco tra il calcolo, attraverso il modello, e l’osservazione “strumentata” del fenomeno reale. A sua volta la misura avviene mediante strumenti più o meno complessi che da un lato sono per natura imprecisi, dall’altro sono stati scelti in base ai modelli teorico-interpretativi a priori adottati, pena la non confrontabilità del risultato (numerico) ottenuto col modello, rispetto al rilievo sperimentale. In questo senso le misure sui neuroni specchio parrebbero sincronizzarsi con le scienze esatte.

Come bio(ingegnere) invece sono ogni giorno immerso nei problemi di una disciplina che più di ogni altra intende spiegare la vita come questa si manifesta, la biologia appunto, una scienza che si alimenta di ricerca sperimentale e analisi quantitative – lineari e non – in cui la statistica, scienza dell'inferenza e della probabilità, gioca un ruolo decisivo – ma non necessariamente congruente – e dove la complessità è di casa. Per questo motivo il team del mio Laboratorio è composto oltre che da ingegneri e biologi, da fisici, da neurologi, da neurochirurghi, da neurofisiopatologi, da neuropsichiatri, da psichiatri, da “misuristi”. Inoltre ogni atto del nostro lavoro di ricerca viene trattato secondo il metodo falsificazionista (Popper).

Per completare il ragionamento vale sottolineare che un modello che soddisfa gli esperimenti non è necessariamente un modello corretto, anzi può essere proprio il modello sbagliato. Citiamo un esempio utile per descrivere il giorno e la notte. Il sole che gira attorno alla terra è un modello efficientissimo e dà un risultato coerente con l’osservazione. Ancora oggi, a distanza di centinaia di anni da Tolomeo, usiamo dire: “il sole si alza alle...” E lo si usa pur sapendo che è la terra a girare su se stessa; che poi la terra giri anche attorno al sole questa è ancora un’altra faccenda.

Se è vero che le scoperte scientifiche e la messa in discussione di precedenti teorie partono generalmente da nuove ipotesi teoriche e/o da stimoli applicativi, è proprio grazie a una intensa campagna di ricerche condotte presso il Laboratorio di Bioingegneria dell’Università di Udine a partire dall’autismo, che è sorto un dubbio circa i neuroni specchio: questo dubbio riguarda proprio il ruolo e la stessa esistenza di un sistema “mirror” umano, inteso come Mirror Neuron System. E’ un dubbio che si è radicato rapidamente a partire da osservazioni di natura squisitamente oggettiva (falsificazionista) che ha portato alla necessità di una rilettura analitica dei citati lavori sui macachi dall’88 ad oggi.

Gli studi che dimostrerebbero l'esistenza dei neuroni specchio nei primati e nell'uomo non hanno retto a un controllo incrociato da parte del team sopra menzionato. In particolare ne è risultato che le metodiche di indagine utilizzate dagli scopritori di questi neuroni non sono completamente convincenti. Nel dubbio, alcuni esperimenti sono stati replicati, ottenendo risultati completamente diversi, per non dire opposti. Siccome i nostri studi sono stati pubblicati su riviste internazionali, questa volta specializzate in misure, riteniamo che i nostri risultati debbano essere presi in seria considerazione (Biomed. Sci. Instr. o JEK). Ne discende che perlomeno il dibattito sui neuroni specchio è ancora aperto e il collegamento con l’autismo, come è riportato dal Journal of Electromyography & Kinesiology, è veramente fragile per non dire inconsistente. In generale le incongruenze a nostro giudizio riguardano proprio l'impalcatura della teoria che vuole riconoscere un sistema “a specchio” nell'uomo fondato su di una specifica classe di neuroni e l’uso del paradigma in ogni dove.

Secondo noi l’argomento, invece di restare nell’ambito della ricerca neuroscientifica e strumentale fino a una completa disamina, si è spostato troppo in fretta su altri tavoli, quelli non disturbati dalle attrezzature di laboratorio, in ambienti che congetturano su indizi dimenticando che mille indizi non fanno una prova. In alcuni casi il risultato di questa operazione ha rischiato di “far passare sotto panni scientifici l'ingenua metafisica”; e non mi riferisco ai neuroni specchio in quanto tali ma ai fiumi di significati, anche contrapposti, che ad essi sono stati di volta in volta attribuiti. Infatti attraverso associazioni di idee più o meno metafisiche si arriva a nuovi “assunti” circa la natura dell'uomo, circa il rapporto empatico con gli altri esseri viventi e le varie disfunzioni dell'intelletto cagionate da una sfortunata “rottura degli specchi”, nonché con il “libero arbitrio” (disputa medioevale...) e i problemi dell'anima ove, per i credenti, i neuroni specchio potrebbero rappresentarne la dissoluzione, proprio perché se all'interno dei processi decisionali umani fosse operante un meccanismo del genere, non controllabile razionalmente, resterebbe ben poco alla libertà dell'uomo, alla responsabilità di ciascuno per le proprie azioni individuali, influenzate “ab origine” da un riverbero meccanicistico.

In un successivo articolo entreremo nel vivo dell'analisi, con una review della letteratura scientifica pubblicata a oggi sull'argomento e anticipando i risultati di studi in corso.

Prof. Paolo B. Pascolo
Ordinario di Bioingegneria Industriale
Università degli Studi di Udine

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