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Chi era Renato Dulbecco
Quasi 98 anni passati tra persone che avrebbero vinto - come lui - il Nobel, ricerche sul cancro e sui geni. Ma anche sotto i riflettori, come a Sanremo. Ecco la sua storia
- I suoi meriti scientifici, tra tumori e genomi
20 febbraio 2012 di Andrea Gentile
Una vita passata tra grandi scienziati, culiminata con un premio Nobel per la medicina, ma anche qualche soddisfazione mondana, come la conduzione del Festival di Sanremo. Ecco chi era Renato Dulbecco, ricercatore appena scomparso che, facendo la spola tra l’ Italia, paese in cui era nato nel 1914, e gli Stati Uniti, dove ha sviluppato le sue idee, ha fatto la storia della ricerca sul cancro. Sì, perché proprio nel 1975 l’allora 61enne Dulbecco aveva ricevuto il massimo riconoscimento per la medicina, insieme a David Baltimore e Howard Temin " per le loro scoperte sull'interazione tra virus tumorali e materiale genetico nelle cellule".
Renato Dulbecco era nato a Catanzaro ma, a causa della Prima Guerra Mondiale, si trasferì nel Nord Italia, prima tra Cuneo e Torino, poi a Imperia. Giovane brillante, costruì con le proprie mani forse il primo sismografo elettronico, come ricorda nell’autobiografia stilata per il Nobel. Nonostante la curiosità per la fisica, decise di iscriversi a medicina nella città di Torino. E proprio in questa università conobbe tre persone che avrebbero cambiato la sua vita. In primis Giuseppe Levi, docente di anatomia e titolare nel laboratorio dove il giovane Dulbecco trascorse molto tempo e apprese i fondamenti di studio e coltivazione dei tessuti. Le altre due figure furono invece due studenti ancora ignari che avrebbero a loro volta vinto due premi Nobel: Rita Levi Montalcini e Salvador Luria.
Dopo aver conseguito la laurea a 22 anni e aver partecipato alla Seconda Guerra Mondiale, fu spronato proprio da Levi Montalcini a lasciare l’Italia per gli Stati Uniti. Il suo sogno era lavorare nella genetica di organismi molto semplici, usando le radiazioni. Un desiderio che fu coronato a Luria, invece, che nel 1947 gli offrì un posto di lavoro a Bloomington, in Indiana, dove divise il laboratorio con un altro grande nome della biologia, James Watson – che insieme a Francis Crick avrebbe scoperto la struttura del dna. Presto si trasferì al California Institute of Technology (Caltech) di Pasadena, chiamato dal premio Nobel Max Delbruck. Qui continuò prima a lavorare con i virus batteriofagi, capaci di parassitare i batteri, e poi si dedicò al campo dei virus animali, aprendo la strada alla virologia animale quantitativa.
Verso la fine degli anni Cinquanta iniziò a lavorare nell’ambito dei virus oncogeni, che gli varranno proprio il premio Nobel, lavorando prima al Salk Institute a La Jolla (1962), poi all’ Imperial Cancer Research Fund di Londra (1972).
Dopo il premio Nobel nel 1975, si dedicò allo studio dell’ insorgenza naturale dei tumori umani e delle loro cause genetiche, ritornando presto al Salk Institute, ed evidenziando come fosse difficile identificare i tipi cellulari nello sviluppo e nella carcinogenesi. Si rendeva necessario mappare il genoma umano, per evidenziare quali geni fossero attivi momento per momento. Una spinta verso quello che sarebbe diventato il progetto genoma. Che oltretutto avrebbe promosso anche nel suo paese di origine. Nel 1992, infatti, il Cnr gli chiese di organizzare un vero e proprio Progetto genoma italiano. E che ebbe però vita breve e produsse solo pochi risultati, a causa dell’isolamento dei ricercatori, degli strumenti limitati e degli scarsi finanziamenti, secondo quanto racconta Dulbecco nella sua autobiografia.
Nel 1999, infine, calcò il palco dell’Ariston insieme a Fabio Fazio e Laetitia Casta, conducendo il Festival di Sanremo e devolvendo il proprio compenso per il rientro di cervelli italiani in patria. Un’iniziativa che continua ancora oggi con il Progetto Carriere Dulbecco di Telethon. A due giorni dal suo 98esimo compleanno, si è spento a La Jolla, in California, a causa di un infarto.
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