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venerdì 24 febbraio 2012

Caro maschio, non stai per scomparire - Wired.it

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Una storia vecchia e stabile (geneticamente) per 25 milioni di anni. Che lascerebbe ben sperare anche per il prossimo futuro, a dispetto di tutte le teorie catastrofiste che lo vedevano sulla via del tramonto, almeno dal punto di vista evolutivo. Le fosche previsioni sul cromosoma Y, quello che fa la differenza tra un maschio e una femmina, sono ora ribaltate da un gruppo di ricercatori del Whitehead Institute for Biomedical Research (Cambridge, Massachusetts) in uno studio pubblicato su Nature.

La teoria che vedeva il cromosoma Y come una porzione del genoma in via di estinzione, infatti era, finora, piuttosto accreditata. Giustificabile con un ragionamento semplice. Tutto ha inizio con l’origine stessa dei cromosomi sessuali ( X e Y, appunto) evolutisi da una coppia di semplici autosomi (cromosomi non sessuali). Questi, per mantenere diversità genetica e per evitare di accumulare mutazioni potenzialmente pericolose, si scambiano solitamente (e reciprocamente) dei geni, in un processo noto come crossing-over (che riguarda coppie di cromosomi omologhi).

Circa 300 milioni di anni fa, però, alcune regioni del cromosoma X avrebbero smesso di scambiare materiale con il cromosoma Y, che si era differenziato acquisendo la regione maschio specifica, la MSY, (Male-Specific region of Y chromosom). L’Y così, privato del crossing over, avrebbe cominciato in qualche modo a degradarsi, perdendo materiale genetico (tecnicamente per decadimento genetico). Con il tempo il crossing over con il cromosoma X sarebbe diminuito ancora di più, significando per l’Y la perdita di ulteriore materiale (l’X invece si sarebbe mantenuto in forma, continuando ad appaiarsi con il suo omologo X, nelle femmine).

Come conseguenza, la regione maschio specifica del cromosoma Y, la MSY, avrebbe mantenuto in circa 300 milioni di anni solo il 3% circa del materiale dei vecchi antenati, i cromosomi autosomici (l’equivalente circa di 19 geni su 600). Un trend che sembrerebbe segnare in maniera inequivocabile anche il futuro del cromosoma Y. Se non fosse che David Page del Whitehead Institute for Biomedical Research, a capo dello studio pubblicato su Nature, non avesse deciso di esplorare da vicino la questione, ricostruendo la storia evolutiva del cromosoma Y negli ultimi 25 milioni di anni, per cercare di capire effettivamente quanti geni della regione MSY siano stati persi in questo lasso di tempo.

Per farlo gli scienziati guidati da Page hanno sequenziato la regione MSY del cromosoma Y di un macaco rhesus (che dista, evolutivamente parlando, appunto 25 milioni di anni dalla specie umana) e l’hanno confrontata con quella della nostra specie. Paragonando i cromosomi i ricercatori hanno così osservato che negli ultimi 25 milioni di anni il cromosoma Y si è mantenuto piuttosto stabile, visto che rispetto a quello di macaco, quello umano sembra aver perso un unico gene ancestrale. Mentre quello di macaco negli ultimi 25 milioni di anni non ha perso neanche un singolo gene degli antenati.

“Il cromosoma Y era per così dire in caduta libera agli inizi della sua storia, e perse geni ad un tasso altissimo. Poi però si è stabilizzato” ha spiegato Page, commentando la ricerca: “Senza perdita di geni sul cromosoma Y del macaco Rhesus e con un solo gene perso sul cromosoma Y umano, è chiaro che l’Y non sta andando da nessuna parte. Il nostro studio semplicemente smantella l’idea di un cromosoma Y in via di estinzione”.
(Credit per la foto: Getty Images)

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