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sabato 4 febbraio 2012

Il complotto evoluzionista - Cronache Laiche

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Durante la campagna elettorale per le primarie dei repubblicani, negli USA, non è potuto mancare un desolante siparietto in cui, al Republican Presidential Debate, ai candidati è stato chiesto di indicare, per alzata di mano, quanti di loro non credessero nella teoria dell’evoluzione. La mancata alzata di mano del mormone Mitt Romney ha scatenato un certo scalpore, ma i granitici oltranzisti del creazionismo a stelle e strisce non sono comunque mancati. La successiva esternazione del possibile presidente restituisce un quadro impietoso del grado di conoscenza dell’argomento dei più irriducibili (e politicamente influenti) detrattori di quella che fu la teoria di Darwin: “Io credo che Dio abbia progettato e creato l’universo. E credo che l’evoluzione sia probabilmente il processo che egli ha usato per creare il corpo umano”. Non ci resta che soprassedere e chiederci se la prossima guerra che verrà intrapresa da un eventuale esecutivo repubblicano verrà decisa con altrettanta cognizione di causa.

Se solo gli estemporanei e intransigenti sostenitori di ogni forma di creazionismo accettassero anche solo per un istante di riconnettersi alla realtà in cui viviamo si accorgerebbero che, a 153 anni dalla pubblicazione de “L’Origine delle Specie”, non è solo del barbuto naturalista inglese che si dovrebbero preoccupare. L’evoluzione è e rimane una teoria fondamentale per descrivere dal punto di vista biologico (e delle macromolecole, se pensiamo all’antropologia molecolare) la presenza e le dinamiche della biodiversità sul nostro pianeta, ma nel frattempo il Darwinismo ha avuto un successo tale da causare un disappunto ben maggiore tra gli zeloti di tutto il mondo, se solo avessero prestato attenzione a cosa andava in onda sugli altri canali.

Darwin, pur ormai ampiamente decomposto, non ha solo definitivamente relegato al rango di leggenda la pittoresca vicenda di Adamo ed Eva, ma ha voluto dire la sua in un numero impressionante di altri campi della scienza e della vita quotidiana, abbastanza prepotentemente da far coniare, nel 1983, il termine “Darwinismo Universale“. Il fiat lux si ebbe (questa volta!) quando Richard Dawkins congetturò che i processi evolutivi potrebbero non necessariamente essere una peculiarità del nostro pianeta. Essi potrebbero infatti attivarsi, previa sussistenza delle condizioni adatte, anche durante lo sviluppo di eventuali forme di vita in qualsiasi altra parte dell’universo. Una volta superata l’inerzia necessaria a comprendere questo primo passo, si è notato che l’essere vivo non è un requisito fondamentale perché si inneschi un processo evolutivo: è infatti sufficiente avere a che fare con replicatori e competizione tra di essi.

Guarda caso, i replicatori sono estremamente comuni. Teoricamente, qualsiasi cosa/organismo/entità astratta in grado di replicare se stessa può entrare a pieno titolo in questa categoria: l’acido ribonucleico (RNA), le idee (e.g. aspetti culturali) e i programmi per computer, per quanto eterogenee, sono tre entità che condividono la capacità di replicarsi.

Il moderno creazionista, rispettoso dei dettami della propria religione, non può più fidarsi praticamente di nulla. Certamente già da tempo naturalisti ed etologi erano nel libro nero del moderno zelota, ma le cose sono andate peggiorando. Con il tempo si sono aggiunti, come era lecito aspettarsi, anche i biologi, ma ben presto anche gli arroganti computer scientists hanno finito per accorgersi che talvolta, anziché creare un programma dal nulla alla maniera di Elhoim, è più conveniente lasciare che le soluzioni evolvano attraverso migliaia di successive generazioni. Da quel punto in poi, è stato un dilagare: un medico che non tenga conto degli effetti della selezione naturale quando prescrive un antibiotico è da considerarsi irresponsabile; la medicina, la psicologia, l’antropologia, le scienze sociali, l’ecologia e molte altre discipline hanno trovato modo di discutere gli effetti e trovare riscontri dell’evoluzione biologica nel loro studi. Si sta quindi parlando di riscontri incidentali, non di fossili, radioisotopi o di analisi filogenetica del DNA.

Il Darwinismo universale si è però potuto dire compiuto grazie alle discipline che hanno seguito la via battuta dall’informatica, cioè che sono state in grado di astrarre i principi fondamentali dell’evoluzione e di riapplicarli con successo a entità differenti dai classici geni (a cui la biologia ci ha abituato). E’ stato proprio quando i principi dell’evoluzionismo sono stati usati per massimizzare funzioni matematiche, ottenere scafi idrodinamici per barche da regata o scocche aerodinamiche per macchine da corsa, progettare robots, modellare forme di vita artificiale in silico, produrre musica o dipinti digitali, studiare lo sviluppo sociale e linguistico, o modellare la trasmissione di unità culturali (le idee, i famosi memi della memetica) che ha perso definitivamente senso ogni disperato tentativo di tenere in vita il creazionismo, indipendentemente dal peso politico e/o religioso degli arrampicatori di specchi che tutt’ora si cimentano in questa impresa.

La grottesca paradossalità dell’intera situazione è racchiusa nel fatto che perfino il concetto di “creazionismo” evolve (basti pensare alla sua ultima rivisitazione, l’Intelligent Design) e risponde ai principi della memetica, cioè del modello evolutivo che si occupa dello studio della variazione, trasmissione e selezione di “unità culturali” (dette memi), che possono essere (appunto) credo religiosi, mode, tradizioni o qualsiasi altro concetto astratto, come la libertà, il tintinnio di Neil Peart in YYZ o il pensiero di Ayn Rand.

Daniele Raimondi

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