Per Dickson Despommier, professore di microbiologia alla Columbia University, il sogno della vita si sta avverando. Le vertical farm, fattorie che si sviluppano in altezza nel cuore delle città, non esistono più solo nella sua mente che le ha concepite, o nei rendering di architetti in vena di creazioni futuristiche. Negli ultimi due anni, sono state avviate le prime sperimentazioni: in Corea, Giappone, Europa, Stati Uniti. E l’interesse sta crescendo. Nei giorni scorsi un’azienda californiana che opera nel campo delle tecnologie verdi, EnviroIngenuity, ha annunciato l’apertura di una nuova divisione dedicata all’agricoltura verticale. Mentre a dicembre, la società che gestisce i parcheggi di Vancouver, in Canada, ha siglato un accordo per istallare all’ultimo piano dei parcheggi un sistema di coltivazione su più livelli. Anche l’Europa, nel suo piano di eco-innovazioni per il futuro, scommette sulle vertical farm.
L’idea di trasferire quello che da millenni si fa in aperta campagna in un grattacielo metropolitano è meno folle di quanto possa sembrare. Anziché sfruttare vasti appezzamenti per far crescere frutta e verdura, si può utilizzare lo spazio tridimensionale, moltiplicando la produzione degli ortaggi con strutture su più piani, e su più livelli per ogni piano. Non c’è più bisogno di zappare. “Al suo posto della terra si utilizza la coltura idroponica che permette di far crescere le piante in piccole zolle alimentate da composti nutrienti e acqua”, spiega Gabriella Funaro, ricercatrice Enea e progettista di SkyLand, ambizioso piano per la realizzazione di una vertical farm a Milano per l’Expo 2015. “ Si possono coltivare verdure a foglia larga, ortaggi come zucchine e peperoni, patate, ma anche frutta come fragole e meloni, e persino cereali come il mais”. Le qualità nutrizionali degli alimenti, assicura Funaro, sono garantite “ perché in sistemi chiusi e controllati non c’è bisogno di usare pesticidi o insetticidi”.
Più che vecchie fattorie, le vertical farm hanno l’aspetto di laboratori scientifici hi-tech, illuminati da lampade a led e ventilati grazie a impianti di aria condizionata; i nuovi contadini, al posto del cappello calato sulla fronte e degli stivali infangati, indossano camici bianchi e guanti sterili. Ma sulla carta i vantaggi sono notevoli. Si risparmiano spazio e acqua, beni preziosi in un mondo dove nel 2050 – dicono le stime delle Nazioni Unite – sgomiteranno più di nove miliardi di persone. Si può produrre il quintuplo, soddisfacendo la crescente domanda di cibo. Si può produrre tutto l’anno, indipendentemente dalle stagioni, dal maltempo o dalla siccità. E inoltre, si produce nello stesso posto dove consuma, il vero “chilometro zero”, abbattendo trasporti ed emissioni di gas serra: la gente che vive in città, da alcuni anni, ha superato quella che risiede nelle aree rurali e la tendenza si accentuerà ancora (nel 2050, l’80 per cento della popolazione mondiale sarà urbanizzata).
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