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domenica 29 gennaio 2012

filosofi anonimi | Faber Blog – La cultura raccontata da chi la fa

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filosofi anonimi
di Carlo Penco – sabato 28 gennaio 2012 - 23:51
Era Aristotele che era un genio o sono gli ingegneri che sono un po’ ignoranti? era la domanda che ci ponevamo noi filosofi a un convegno negli anni ’80 dove si presentava CYC, l’enorme base di conoscenza informatizzata. Gli ingegneri del CYC avevano individuato, intrecciando centinaia di migliaia di dati, alcune categorie generali: tempo, luogo, relazione, azione, situazione… Perbacco: avevano scoperto qualcosa come le categorie aristoteliche (…più o meno). Solo che Aristotele le aveva pensate ragionandoci sopra, gli ingegneri le avevano “estratte” empiricamente da un incrocio di dati.

[sopra: esempio di ontologia CYC - 2002]

Però, e non solo da CYC in poi, gli ingegneri si sono dedicati a fare ontologie, sia ontologie regionali, sia ontologie generali. Rubano il mestiere ai filosofi? Stanno facendo filosofia senza saperlo? Per Roberto Casati probabilmente sì, perché nelle loro discussioni – oltre a costruire sistemi che dovrebbero funzionare – cercano di mettersi d’accordo su come organizzare i concetti: fanno opera di “negoziazione concettuale”.

In Prima lezione di filosofia infatti Casati sostiene una tesi su cosa è la filosofia: la filosofia è l’attività di negoziazione concettuale (basata ovviamente sull’analisi costi/benefici) e il filosofo è un negoziatore concettuale. In un ambiente in cui il mercato è tutto – come ci insegnano i nostri economisti e i nostri primi ministri – l’idea che far filosofia sia “negoziare” sulla base di “costi e benefici” calza a pennello.

Poi vado a vedere gli esempi di negoziazione concettuale – che dovrebbero essere appunto esempi di filosofia: la discussione sulla definizione di matrimonio per la costituzione italiana, discussione che ha coinvolto Aldo Moro, Lelio Basso, Giorgio La Pira, Palmiro Togliatti, Giuseppe Dossetti e altri (una discussione divertente e istruttiva che ci riporta all’epoca dei grandi politici che ci hanno dato la costituzione repubblicana). E poi la discussione di avvocati in un tribunale statunitense sul problema se considerare un certo oggetto un’opera d’arte oppure un utensile (e quindi far pagare o meno una tassa per iportazione di utensili da cucina). Ecco i filosofi paradigmatici: politici e avvocati.

Mi è venuto così in mente il teologo Karl Rahner che sosteneva la tesi dei “cristiani anonimi”. Tutti sanno che ci sono persone buone e giuste al mondo, ma si dice “extra Ecclesia nulla salus” (fuori della Chiesa non c’è salvezza). Come possono salvarsi le persone buone e giuste? Ecco la risposta: queste persone buone e giuste sono cristiani, ma non lo sanno. E’ solo semplice ignoranza la loro: sono “cristiani anonimi”. Ma davvero, se lo sapessero, si considerebbero “cristiani”?

Allo stesso modo, si potrebbe dire, Lelio Basso, Palmiro Togliatti, Giuseppe Dossetti, che discutono su come definire il matrimonio nell’articolo 29 della Costituzione, e gli avvocati, che difendono o criticano l’idea che un certo oggetto rientri o non rientri nella categoria di oggetto artistico, sono tutti “filosofi anonimi”: fanno filosofia, ma non lo sanno. Ma davvero, se lo avessero saputo, si sarebbero considerati “filosofi”?

Certo Casati ha qualche ragione. Una cosa sono i filosofi di professione, un’altra tutte quelle persone che, all’interno della loro professione, “prendono le distanze dall’agire o operare nella professione e rivolgono a quanto stanno facendo uno sguardo filosofico” (p.61). Ma allo stesso modo sono ingegneri le persone che cercano soluzioni ingegneristiche a problemi di vario tipo (meccanici, civili, navali, ecc.); oppure siamo tutti architetti quando studiano come arredare un appartamento o immaginiamo come si dovrebbe ristrutturare una città, tutti chimici quando cerchiamo nuove combinazioni di ingredienti in cucina; tutti psicologi quando ragionano sugli altrui stati mentali, e tutti avvocati quando discutiamo di chi ha ragione o torto.

Ma quando si insegna ingegneria, si passa da un atteggiamento a un metodo, e così per le altre professioni o attività. E qual’è il metodo della filosofia? Non c’è e non ci può essere risponde Casati; le filosofie sono troppe e troppo diverse, e la ricerca di un metodo o di un canone è destinata al fallimento: ci sarebbe sempre qualcuno che non lo riconoscerebbe come tale. Lo metterebbe appunto in discussione (facendo appunto negoziazione concettuale).

Dummett insisteva sulla necessità di conoscere la logica, come parte della “cassetta degli attrezzi” del mestiere del filosofo. Casari dice che si può ragionare anche senza conoscere la logica (niente di più vero). Ma non si possono affrontare problemi complessi di ontologia, epistemologica, filosofia del linguaggio e della scienza senza conoscere la logica. E i problemi che si poneva Aristotele – e oggi si pongono gli ingegneri che costruiscono ontologie per il semantic web – non si possono affrontare per davvero senza conoscere la logica.

Casati propone una negoziazione concettuale: mettiamo d’accordo nel chiamare l’attività filosofica “negoziazione concettuale” come definizione necessaria a sufficiente per capire chi fa filosofia. In questo modo dà spazio a tutti, ermeneuti e fenomenologi, analitici e continentali, filosofi-logici e filosofi-poeti. E’ un tentativo immane, e si sa che più si allarga l’estensione più si restringe l’intensione, la quale diventa sempre più generale, magari necessaria ma non sufficiente.

Un problema riguarda i filosofi anonimi che, a differenza degli alcolisti anonimi – che sanno di essere alcolisti ma vogliono restare anonimi – non è sempre detto che si vogliano riconoscere nella categoria del “filosofo”, e forse, come gli alcolisti, vorrebbero smettere di esserlo o di essere considerati tali:

“Per Dio!” – potrebbe dire Dossetti – “non sono certo un filosofo, ma un vero politico, e ho difeso i valori cristiani”; “Per Bacco” – potrebbe fargli eco Togliatti – ”io non ho fatto filosofia, io ho fatto vera politica difendendo i valori della laicità”.

P.S. Casati comunque aiuta i docenti di filosofi (me compreso) che stimoleranno gli studenti a nuove professioni (mediatori culturali?) e comunque anche a uno stile: invece di lasciarsi travolgere dalla pratica del lavoro ogni tanto sospendere e ragionare su quello che si sta facendo. Magari con vantaggi per lo stesso lavoro.

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