di Roberta Trincas
Tempo fa mi è capitato di leggere Emotion and Psychopathology (Rottenberg e Johnson, 2007), un libro molto interessante che comprende diverse teorie e studi sul ruolo che le emozioni hanno nello sviluppo della sintomatologia di diversi disturbi mentali. Per esempio, si fa riferimento al fatto che un’emozione può essere causa di sintomo quando ha un’eccessiva intensità (es. disturbi d’ansia), è di lunga durata (es. nella depressione, la tristezza e l’anedonia permangono nel tempo), o interferisce sui processi cognitivi (memoria, attenzione, ecc). Un’importante distinzione riguarda i concetti di emozione e umore, che spesso vengono erroneamente considerati in modo confuso e contradditorio. Alcuni studi sull’argomento si focalizzano sulla relazione tra umore ed emozione, in altre parole su come un determinato umore può alterare la probabilità di sperimentare specifiche emozioni (per esempio un umore irritabile può facilitare una reazione di rabbia). Attualmente, gli studi sulle emozioni considerano l’umore come uno stato emotivo diffuso, con un lento innesco, non legato a specifici stimoli; può durare per ore o giorni e comporta cambiamenti a livello cognitivo e delle sensazioni soggettive; mentre le emozioni sono reazioni rapide, di breve durata che si innescano in risposta ad uno stimolo significativo, consentono di adattarsi ad un cambiamento e comportano cambiamenti comportamentali, psicofisiologici e nelle sensazioni soggettive (Keltner e Gross, 1999). In riferimento a tale distinzione, le ricerche sulla depressione, ad esempio, ritengono che questo disturbo implichi cambiamenti dell’umore ma non nelle reazioni emotive (Rottenberg et al., 2005). Rispetto all’effetto che l’umore può avere su una reazione emotiva, in letteratura vengono proposte due teorie sulla depressione: 1) l’umore negativo potenzia reazioni emotive negative; 2) l’umore negativo attenua reazioni emotive positive. Secondo la prima teoria, gli individui depressi hanno un’eccessiva reattività emotiva a stimoli emotivi negativi (negativity bias). Ritroviamo tale osservazione nel modello cognitivo di Beck (1967), secondo cui l’umore negativo influisce sull’attivazione di schemi cognitivi che distorcono l’elaborazione di stimoli emotivi generando una risposta emotiva depressiva (tristezza). Tuttavia, sono scarsi gli studi che dimostrano un potenziamento delle reazioni emotive negative nei depressi. Alcuni autori osservano, per esempio, una maggiore conduttanza cutanea di fronte a scenari sociali negativi rispetto ai controlli e un maggiore flusso sanguigno nell’amigdala (Sigmon et al, 1992). La seconda teoria è centrata sull’idea che la depressione implica mancanza di reattività a stimoli emotivi positivi. Tale ipotesi è avvalorata dalla ridotta capacità di provare piacere (anedonia) e dalla mancanza di motivazioni positive o appetitive (ritardo motorio, fatica, anoressia) nei depressi (Clark et al., 1994). A favore di questa teoria, diverse ricerche indicano che individui depressi mostrano reazioni emotive attenuate di fronte a scene con contenuti emotivi piacevoli o film divertenti, e sono meno reattivi a livello comportamentale in risposta a ricompense. I risultati osservati, tuttavia, sono contradditori; alcuni autori, infatti hanno osservato che i depressi non hanno alcun aumento della risposta emotiva di fronte a filmati a contenuto triste confrontati con filmati positivi (Rottenberg et al., 2005). “L’ipotesi dell’insensibilità al contesto emotivo” fornisce una spiegazione a tale contradditorietà, ritenendo che i depressi avrebbero una ridotta reattività a stimoli emotivi indipendentemente dalla loro valenza, positiva o negativa (Rottenberg et al., 2005). Tale ipotesi è corroborata da studi che osservano nei depressi: ridotto riflesso di ammiccamento nella visione di immagini emotive; ridotta attivazione elettromiografica durante l’immaginazione di scenari positivi e negativi o in risposta ad espressioni facciali; minore espressività di fronte a film positivi e negativi (meno tristezza in reazione a film tristi e bassi livelli di divertimento di fronte a film comici). Secondo questa ipotesi, quindi, un intenso umore depresso può avere un generale effetto inibitorio sulle emozioni e sull’elaborazione di stimoli a contenuto emotivo. La funzione di tale inibizione (pessimismo e perdita di interesse) sarebbe di difesa da situazioni avverse in cui continuare un’attività potrebbe essere inutile e pericoloso (Nesse, 2000).
Bibliografia
Beck, A. T. (1967). Depression: Clinical, experimental, and theoretical aspects. New York: Harper & Row.
Clark, L. A., Watson, D., & Mineka, S. (1994). Temperament, personality, and the mood and anxiety disorders. Journal of Abnormal Psychology, 103, 103–116.
Keltner, D., & Gross, J. J. (1999). Functional accounts of emotions. Cognition & Emotion, 13, 467–480.
Nesse, R. M. (2000). Is depression an adaptation? Archives of General Psychiatry, 57, 14–20.
Rottenberg, J., Gross, J.J. e Gotlib, I.H. (2005). Emotion context insensitivity in Major Depressive Disorder. Journal of Abnormal Psychology, 4, 627-639.
Rottenberg J. e Johnson S.L. (2007). “Emotion and Psychopathology”. American Psychological Association, Washington, DC.
Sigmon, S. T., & Nelson-Gray, R. O. (1992). Sensitivity to aversive events in depression: Antecedent, concomitant, or consequent? Journal of Psychopathology and Behavioral Assessment, 14, 225–246.
Posted on 23 gennaio 2012 at 18:05 in Emozioni, Psicoterapia, Ricerca in Psicoterapia | RSS feed You can skip to the end and leave a risposta.
martedì 24 gennaio 2012
I depressi sono più sensibili ad emozioni negative o provano meno emozioni positive? | Il blog APC e SPC
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