Una risposta rivoluzionaria. Una replica violenta e profonda tendente ad auspicare un rivolgimento che muti radicalmente uno determinato stato di cose. Contro il potere. Filosofia e scrittura (Bompiani, 2011) senza nessuna alternativa da lasciare all'illusione o alla congettura. Giacomo Marramao (Catanzaro, 18 ottobre 1946) non ha dubbi, non esita neanche un attimo, non si pone interrogativi di sorta. Tutt'altro. Egli è sicuro della propria opzione, egli è certo della propria proposta risolutiva rispetto alle grandi questioni che si legano alle dinamiche del potere (oggi come ieri). E nel portare al termine il suo discorso il filosofo calabrese non esita a fare intervenire due premi Nobel per la letteratura. Si tratta del narratore bulgaro Elias Canetti (che ha ottenuto il riconoscimento nel 1981) e della scrittrice romena Herta Müller (Nobel nel 2009). Ma non solo. Nell'intera economia del prezioso volumetto della «Bompiani» trovano pure il loro posto numerose considerazioni sulla società della globalizzazione, alcuni riferimenti alla genesi ed alle matrici del potere, della politica e della potenza ed illuminanti considerazioni sulla sorte della Sinistra attuale (indagata a partire da certe analisi del linguista e saggista Raffele Simone). Ma occorre andare con ordine. Alla fine il volume di Marramao costituisce un segnavia davvero rilevante all'interno del panorama attuale degli studi sulla contemporaneità anche se - è doveroso dirlo - pecca un po' di stringatezza e di mancato sviluppo di determinate disanime. Ciononostante, lo ripetiamo, ci troviamo di fronte ad un testo importante e che dovrebbe essere fatto oggetto di riferimento obbligato da parte delle forze progressiste che attraversano l'Occidente oltre che, più in generale, dell'uomo comune al quale, in ogni caso, il libro propriamente si rivolge. La speculazione di Giacomo Marramao si apre con la specificazione dei termini stessi del discorso che egli intende intraprendere. «Il potere non è una "risorsa scarsa", una cosa o una sostanza " a somma zero", ma una relazione la cui intensità varia con il variare dell'investimento simbolico esercitato nei diversi ambiti del sistema sociale». Il potere non è dunque definibile di per sé. Non è qualcosa che stia - su se stesso - in maniera autonoma, senza contatto con qualcos'altro, senza rapporto con qualcosa di eterogeneo ad esso. Ma, cos'è questo altro elemento? «Il paradosso del potere propriamente inteso consiste pertanto nel fatto che esso è tale solo se lo concepiamo non già come sostanza ma - appunto - come relazione con soggetti potenzialmente liberi: vale a dire, dotati del potere di agire in modo alternativo all'atto di subordinazione». Più precisamente: «un'implicazione radicale del paradosso del potere, messa generalmente in luce da Etienne de La Boetie [è che]... potere e libertà sono co-originari, discendono dalla medesima fonte. Proprio in quanto negazione della libertà, il potere la presuppone: non sarebbe pensabile se i "soggetti" su cui esso si esercita non fossero originariamente e potenzialmente liberi». Abbiamo dunque, immediatamente, la connessione tra potere e libertà: quest'ultima essendo quell'elemento «che sta a presupposto della relazione di potere» e che può essere definita come «la potenza». Chiediamoci ancora: qual è «il differenziale della potenza»? Ovvero: «la sua irriducibile ridondanza rispetto al potere»? Risponde lo stesso Marramao: esso è rappresentata da «un incremento non meramente quantitativo ma simbolico». C'è qualcosa di astratto nella libertà che la rende distintamente difforme dal potere. C'è qualcosa di paradigmatico che la fa distinguere da quel suo correlato che «è infatti una pulsione, ma anche una pulsazione. Il potere pulsa, come tutte la passioni originarie: come l'amore, come l'odio. E' un battito fatto di alternanze di sistole e diastole». Una volta stabiliti, in questo senso, i termini di tutto il discorso, Marramao ha così pieno agio di portare il suo saggio sul terreno della società a noi più prossima. «Il potere si presenta oggi nelle sembianze e nella struttura di un potere "mediacratico": dove l'espressione di calco greco-latino media-crazia indica appunto il fenomeno dell'accostamento e dell'ibridazione della sfera del potere con quella dei media». Questo potere «soft», meticcio, dominato da «nuove oligarchie elettroniche, da cui viene prendendo forma una nuova dimensione del potere», che «non può più essere ricercato nelle logiche del modello Westfalia, di quello che è stato chiamato da alcuni il "mito westfalico": nelle logiche di un rodine internazionale incentrato sulle relazioni pace/guerra, amicizia/inimicizia fra Stati-nazione sovrani territorialmente chiusi», questo soggetto - che è, come detto, solamente una «variabile dipendente» - agisce in maniera massiva e indifferenziata sui cittadini del Pianeta (strutturato dalle logiche della globalizzazione). E' a questo punto che si innesta il suggerimento di Marramao. Contro il potere che cosa si può escogitare oggi? Che cosa raccomandano Canetti e la Müller? Che cosa può inventarsi ancora la Sinistra internazionale? Quale rimedio è ancora possibile? Quale strada si può percorrere per affermare la propria libertà, la propria identità, la propria originaria costituzione? L'invito di Marramao a questo punto diventa davvero rivoluzionario. Insieme a Canetti egli prefigura una positiva iniezione di ragione. «Nulla appare oggi più pregnante della doppia ingiunzione racchiusa nella sua opera: andare alle radici, ai principi costitutivi del potere, formalizzarne le costanti, anziché inseguirne le molteplici ramificazioni e le interminabili mutazioni; non usare il concetto come alibi per evacuare il pensiero, non "schivare il concreto", ma - come si legge nel saggio Potere e sopravvivenza - volgersi a "quanto vi è di più vicino a noi e di più concreto». Tutta la radicalità del consiglio di Marramao sta proprio in questo: «andare a principi costitutivi» del potere. E' racchiuso in ciò tutto il senso definitivo che possiede il suo monito. In quale maniera si deve andare incontro a queste «costanti»? Per Canetti, dice ancora Marramao: «solo attraverso l'accesso alla concretezza delle esperienze - singolari e collettive - che di volta in volta si danno, lo scrittore è in grado di acquisire un'effettiva Verantwortung, "una responsabilità per la vita che si sta distruggendo", capace di andare oltre un mero atteggiamento di pietas per gli altri». Occorre muoversi - per andare Contro il potere - «dal concreto, dalla prossimità all'esperienza». O, per Herta Müller, «dalle quotidiane "bassure" della vita quotidiana e della sua "normale" derelizione». In definitiva bisogna viaggiare, oggi, sulle vie della realtà, della pratica, dell'effettività e dell'effettualità. Il senso di tutto il discorso di Marramao è che si deve contrapporre al potere una considerazione obiettiva delle cose, un ritorno ai veri problemi della vita, un contatto con «i piedi per terra» sul suolo della tangibilità. Ciò ha un riscontro diretto proprio nelle dinamiche del potere attuale. Del potere ai tempi della globalizzazione. Infatti «la nostra epoca, che esibisce a se stessa il proprio tempo come un succedersi precipitoso di molteplici e disparate festività, è in realtà "un'epoca senza festa": un'epoca - verrebbe da aggiungere con una suggestione spinoziana desunta dal dibattito attuale - delle "passioni tristi", segnata dal fenomeno della doppia contrazione di memoria e aspettativa, dall'implosione dell'avvenire in "futuro passato" e dalla conseguente eterizzazione del presente». Viviamo in un periodo di tempo in cui il potere fa leva «su un complesso dispositivo di messaggi subliminali centrati - secondo un Leitmotiv del dibattito filosofico attuale, riscontrabile soprattutto in un autore come Slavoj Žižek ma anticipato dalle analisi di Jean Baudrillard - sull'incentivazione al godimento». Se questi sono i mezzi che ha a disposizione il potere moderno, è inevitabile allora che un vero e proprio recupero della realtà costituisce una contromisura che - politico o cittadino - chiunque dovrebbe mettere in atto. Questo recupero della realtà è dunque una perfetta iniezione di ragione nel mondo in cui le direttrici principali sembrano improntate a sistemi di spettacolarizzazione, di edonismo sfrenato, di ricerca compulsiva dell'appagamento in risorse transitorie. In definitiva occorre dire a gran voce, secondo Marramao: il mondo non è solamente la palestra diafana del nostro godimento individuale. La vita non è fatta solo per conseguire piccole gioie e microscopiche soddisfazioni incapsulate in beni di consumo. Occorre tornare alla realtà. Alla contingenza. Alla situazione oggettiva in cui ci troviamo. La proposta di Giacomo Marramao - con questa attenzione centrata sulla ragione lucida investigatrice del reale - non potrebbe essere più rivoluzionaria di come effettivamente essa è - specie in un momento storico come quello che stiamo vivendo. Si tratta di una proposta che va direttamente e senza mezzi termini Contro il potere. Ma c'è di più. Si tratta, infatti, anche di una indicazione che ha a che fare con la «catastrofe». «A differenza dell'apocalisse, di ogni rivelazione o disvelamento finale, la catastrofe rimanda a un mutamento di forma: o per adottare un lemma caro a Canetti, a una metemorfosi». Oggi «lo scrittore è chiamato a custodire la metamorfosi: davanti agli odierni imperativi di un "mondo improntato sull'efficienza e sulla specializzazione", dominato da una "angusta tensione per la linearità"». In quale modo lo scrittore (o meglio: chiunque si ribelli al potere) può porre in atto questa sua missione? Risponde Marramao: «ma un tale atto di riappropriazione - letteralmente catastrofico per gli attuali assetti della Civiltà - non può aver luogo se non prendendo congedo dalle vette del concetto e immedesimandosi nel concreto dell'esperienza». Ecco che il ritorno alla realtà, unica risposta possibile allo straripamento del potere - diventa adesso un atto pienamente «catastrofico». Ed ecco che la proposta di Marramao, appunto perché intrinsecamente catastrofica, presenta quelle linee di frattura e quello statuto di cataclisma storico che sono propri, appunto, solo della rivoluzione. E la Sinistra? Se è vero che «la Neodestra, dunque, altro non è l'espressione mobile e cangiante di quella nuova forma, tanto più totalizzante quanto più sottile, di Potere designata da Simone con l'appellativo "posthobbesiano" di Mostro Mite». La Neodestra (in crescente espansione di consensi) è perciò «l'espressione» del potere contemporaneo. Quello stesso potere che esercitava le proprie funzioni attraverso «l'incentivazione al godimento». Quello stesso potere al quale il nostro autore aveva risposto con delle iniezioni di ragione. Cosa resta allora da fare alla Sinistra? Risponde Giacomo Marramao: «si tratta... di invertire quella (antichissima) colonizzazione del desiderio che, facendo leva su una frattura tra dimensione materiale e dimensione simbolica, ha portato a una resistibile ascesa del disegno egemonico della Neodestra». In una parola: «invertire [la]... colonizzazione del desiderio» vuol dire farsi interpreti di quel ritorno alla realtà che Marramao auspica quale rimedio ai mali del potere attuale. Lo «scopo del libro» è dunque raggiunto. Questo scopo era «la dimostrazione di come solo una restituzione scabra e disincantata dei meccanismi di produzione e riproduzione del potere a partire dai concreti contesti dell'esperienza... sia in grado di delineare linee di frattura talmente profonde da sovvertirne la logica». Marramao, grande sovvertitore, ha alla fine dimostrato proprio questo. Consegnandoci un libro di utilità quasi civica oltre che di sopravvivenza quotidiana nei meandri, ancora non del tutto esplorati e percorsi, di questo inizio di Terzo Millennio.
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