cacciatori di pianeti sembrano scatenati. Ormai, quasi non passa settimana senza una new-entry nel censimento del telescopio spaziale Kepler della Nasa, al quale danno manforte, qui in Terra, lo strumento Harps dell’Eso, montato all’Osservatorio La Silla in Cile, e chiunque abbia voglia di perdere un po’ di tempo al computer con il progetto Planet Hunters. Più di un migliaio i mondi alieni già schedati, di cui 700 confermati e una cinquantina potenzialmente abitabili, come i recentissimi Kepler-22b e la doppietta 20e e 20f, molto simili alla Terra.
Anche se la tentazione può essere forte, è ancora presto però per fare le valigie e cambiare aria. Già, perché (a parte gli insormontabili problemi logistici), “ se al momento siamo in grado di stabilire con certezza se un pianeta orbiti o meno nella fascia di abitabilità, cioè a una distanza dalla sua stella compatibile con la presenza di acqua liquida in superficie, non possiamo ancora pronunciarci sulla natura di questi mondi lontani”, spiega John Robert Brucato, astrobiologo e ricercatore presso l’ Osservatorio Astrofisico di Arcetri dell’ Inaf. “ Con le missioni spaziali di nuova generazione, saremo in grado di compiere quel salto tecnologico che ci consentirà di scoprire se sono realmente posti ospitali”. Sarebbe sconsiderato, insomma, cominciare a meditare l’acquisto di una casa a 600 anni luce da qui per trasferirsi su Kepler 22-b, o addirittura emigrare su KOI736.01, a detta degli scienziati del Planetary Habitability Laboratory, il posto nell’Universo più simile al nostro in graduatoria. Si rischierebbe di non riuscire a camminare per la mancanza di roccia sotto i piedi, trovare un clima mite, ma irrespirabile, arrostire per l’assenza di un’atmosfera.
Come possiamo stabilire se su un pianeta ci può essere vita? L’Esa ha stilato una roadmap per una delle sfide scientifiche e tecnologiche più eccitanti della moderna astrofisica. L’ipotesi d’inviare sonde perlustrative sul posto è scartata a priori. “ Troppo lontani”, sorride Brucato. “ Viaggiando alla velocità della luce, servirebbero secoli o millenni per raggiungere i più vicini. Possiamo solo basarci su misurazioni indirette”. La via privilegiata è la ricerca dei biomarkers, ovvero le “impronte digitali” della biologia.
“ Le principali agenzie spaziali stanno progettando future missioni, come Terrestrial Planet Finder della Nasa, Echo e Plato dell’Esa, mirate ad analizzare l’atmosfera nei candidati più simili alla Terra orbitanti, possibilmente ruotanti intorno a stelle di piccola massa”, prosegue Brucato. “ Nel transito dell’esopianeta di fronte alla sua stella, un telescopio di nuova generazione dovrebbe osservare prima l’alone dell’atmosfera, con una diminuzione della radiazione luminosa, quindi l’eclissi totale dovuta al passaggio del corpo celeste, di nuovo l’alone e infine la luce piena della stella.
Pagina successiva
1 2
Nessun commento:
Posta un commento