Mai come in questo momento storico Jacques Derrida e la sua concezione di biopolitica risultano attuali. Per Simone Regazzoni, autore del volume Derrida. Biopolitica e democrazia, in arrivo nelle librerie a gennaio per Il Melangolo, "l'insegnamento del filosofo francese è necessario, oggi più che mai, per comprendere ciò che accade, e per provare a elaborare delle risposte all'attuale crisi della democrazia". Nel libro si lancia un'idea dalla quale ripartire per risollevare le democrazie "moribonde" in cui viviamo; Derrida parla di "democrazia a venire" e guarda a "uno spazio sovranazionale aperto e plurale, con nuove dinamiche di partecipazione e decisione, in grado di realizzare effettivamente, e in quadro sempre perfettibile, le istanze di giustizia che sono inscritte al cuore della democrazia".
L'intervista a Simone Regazzoni in anteprima su Affari
Un libro su Derrida, perché riprenderlo oggi?
Perché credo che Derrida sia necessario, oggi più che mai, per comprendere ciò che accade, e per provare a elaborare delle risposte. Era Derrida che diceva: "Qualcosa accade, e bisogna rispondere". Il che non significa sfornare ricette filosofiche per l'avvenire. Bensì confrontarsi con ciò che accade: evitando le scorciatoie, le semplificazione e, soprattutto, le ricette indigeste degli intellettuali. La responsabilità filosofica è la responsabilità di un pensiero che rompe con l'orizzonte dato del sapere (dunque con il "discorso dell'intellettuale" ad esso connesso) e si sforza di pensare dove non sa, di pensare nella dimensione de non sapere. Ora, è proprio al cuore di questo pensiero senza sapere - di cui nel mio libro mi occupo affrontando i temi dell'apofasi e della teologia negativa in Derrida - che si colloca la nozione derridiana di "democrazia a venire". Che non ha nulla a che fare con le democrazie statuali-nazionali moribonde, o in stato di coma profondo, in cui viviamo, ma guarda a uno spazio sovranazionale aperto e plurale, con nuove dinamiche di partecipazione e decisione, in grado di realizzare effettivamente, e in quadro sempre perfettibile, le istanze di giustizia che sono inscritte al cuore della democrazia. Derrida ha pensato questo spazio altro della democrazia, di cui abbiamo un bisogno vitale, nella cornice di una decostruzione più generale dell'idea semplificante e riduttiva di realtà che invece oggi, come una sorta di esorcismo di fronte alla complessità, qualcuno prova a rimettere in circolazione. E' con il "reale" di eventi traumatici che oggi la filosofia deve confrontarsi, non con il feticcio della realtà.
Qualche nesso con la politica o con il momento storico che stiamo vivendo?
L'idea di "democrazia a venire" è essenzialmente in rapporto con la drammatica congiuntura storica in cui viviamo: solo se pensiamo a una democratizzazione globale che vada al di là dei vecchi stati-nazione e, con essa, a un'altra dimensione della vita del vivente possiamo provare a pensare a una ri-politicizzazione altra che abbia la forza di contrastare e regolare in modo più giusto un potere economico-finanziario che rischia, oggi, di innescare dinamiche auto-distruttive non solo per l'umanità intera, ma per la vita in generale. Se restiamo nei limiti dello stato-nazione saremo condannati sempre più a dover accettare, pena la minaccia reale del disastro, politiche scelte da altri (al di fuori di qualsiasi controllo democratico) senza possibilità alcuna di decisione. Ma abbandonare gli angusti limiti delle democrazie parlamentari statuali-nazionali non significa abbandonare l'idea di democrazia e le irrinunciabili conquiste liberali che con essa fanno corpo, bensì radicalizzarla. In questo senso i decostruzionisti sono dei democratici radicali.
Nella prima parte si legge una aperta critica al libro di Ferraris "Ricostruire la decostruzione", dico bene?
Credo fosse un confronto inevitabile, che può anche assomigliare - inutile negarlo - a una sorta di scontro tra due generazioni di eredi che hanno condiviso lo stesso amore filosofico. Ferraris fa parte della prima generazione di studiosi di Derrida ed ha avuto un peso rilevante nella ricezione italiana della decostruzione. Questo gli va riconosciuto come un merito. Ma poiché oggi, proprio Ferraris propone con forza di ritornare a una ontologia forte che da sempre è l'obiettivo polemico principale della decostruzione (l'ontologia, come ha scritto Derrida, è un "esorcismo") è inevitabile, per chi crede, come me, che sia più che mai necessario proseguire sul cammino della decostruzione, è inevitabile decostruire la proposta del realismo ingenuo o vintage di Ferraris. Una proposta filosoficamente debole: debolezza di cui è sintomo il fatto che, a più riprese, Ferraris abbia evocato lo spauracchio del populismo mediatico berlusconiano per supportare la sua restaurazione ontologica. "Se non credi alla realtà forte allora ha ragione Berlusconi e la sua manipolazione mediatica! Allora vince Berlusconi! Allora sei un cripto-berlusconiano!". Alcuni amici derridiani francesi, che avevano assistito a una conferenza di Ferraris, mi hanno recentemente detto: "Come farà adesso Ferraris a sostenere il suo realismo senza il supporto di Berlusconi?". E' una battuta perfetta che dimostra tutta la debolezza di un'argomentazione che usa una variante di quella che Leo Strauss definì reductio ad Hitlerum e che chiamerei reductio ad Berlusconem.
Ferraris stesso, d'altra parte, nel suo libro critica Derrida.
Sì. Ferraris è ben consapevole che la sua proposta teorica è un attacco frontale alla decostruzione che, non a caso, definisce "vaga". La stessa posizione di Derrida sull'ontologia viene liquidata come "ribellismo". E, usando una metafora poliziesca, Ferraris scrive: "Derrida vede nell'essere il male. Dio solo sa, d'altra parte, quale profonda distorsione del pensiero di Derrida verrebbe dal togliere l'identificazione tra ontologia e polizia (e magari dal considerare che non sempre la polizia è il male). Ma sono convinto che sia meglio così, per tutti, e che per Derrida". Che Ferraris sia convinto di agire in nome del ciò che meglio per tutti e anche per Derrida rende ancora più inquietanti le cose: quando qualcuno, in particolare un filosofo, ci dice che sta facendo qualcosa per il nostro bene, e perché così è meglio per tutti, è proprio allora che bisogna cominciare a temere che il peggio sia in arrivo.
Sembra che da parte sua (Regazzoni) ci sia un certo gusto per la polemica filosofica o sbaglio?
Assolutamente sì: impossibile pensare ed esercitare la decostruzione senza un certo gusto per la polemica e il polemos in filosofia. Nella decostruzione c'è sempre una certa violenza, come ha riconosciuto anche Derrida, che non ha mai risparmiato attacchi, anche molto duri, ad altri filosofi: da Searle ad Agamben. La storia della decostruzione è costellata di polemiche spesso violentissime. Il buonismo e le concilianti dichiarazioni in favore del dialogo non fanno parte della decostruzione. Come ha scritto una filosofa decostruzionista che stimo molto, Avital Ronell, in un libro intitolato non a caso Fighting Theory, i decostruzionisti sono una specie di marines della filosofia. Non è certo una definizione politicamente corretta… ma, proprio per questo, è assolutamente efficace. Se Derrida, come ha affermato François Cusset, è una specie di Clint Eastwood della filosofia, ebbene un buon film per riassumere l'immagine del filosofo decostruzionista potrebbe essere Gunny, interpretato e diretto da Eastwood (http://www.youtube.com/watch?v=VpIYecmRh7I).
Come mai usa Žižek contro l'interpretazione che Ferraris dà di Derrida?
Per mostrare come la mia polemica con Ferraris non avvenga in nome di una presunta autentica fedeltà a Derrida, ma proprio a partire da questioni poste da un filosofo estraneo alla cerchia dei decostruzionisti, che ha criticato anche duramente la decostruzione, ma che non ha mancato di riconoscere e sottoscrivere ciò che è al cuore dell'eredità di Derrida, facendola a suo modo lavorare. Così il mio libro prende il via proprio da una serie di questioni poste da Žižek a Derrida: e questo per provare leggere Derrida in modo nuovo, ponendo al centro della decostruzione la questione della vita al di là di una presunta opposizione tra bios e zoé.
Anche questo libro lo inserisce nel filone della pop-filosofia?
No, questo libro non si inserisce nel filone pop. E' un libro molto tecnico, come è giusto che se ne continuino a scrivere, e come io ho sempre tentato di fare in questi anni lavorando sue due livelli, esoterico ed essoterico, per un pubblico ristretto di specialisti e per il vasto pubblico. Però in questo libro, per la prima volta, spiego in termini teorici, e confrontandomi con Derrida, qual è il rapporto tra decostruzione e pop filosofia. Perché credo sia essenziale nella "strategia generale della decostruzione" mettere in atto, in certi momenti e contesti, tattiche pop-filosofiche. L'ultimo capitolo del libro è dedicato proprio al rapporto tra decostruzione, democrazia e questione del popolare a partire da un testo di Derrida intitolato "Popolarità".
Molti, per esempio Nicla Vassallo, attaccano aspramente la pop-filosofia...
Partiamo dalla posizione di chi attacca oggi la pop filosofia. Dove si collocano costoro nel panorama internazionale della filosofia? Il minimo che si possa dire è: non proprio al centro. A ottobre sono stato invitato a Parigi dal Collège International de Philosophie a parlare di pornografia e cultura di massa. Lo scorso anno ero all'Università di Madrid per parlare di serie tv. A novembre, a Marsiglia, si è tenuto un festival di Pop filosofia dove sono intervenuti filosofi del calibro di Rancière e Szendy. L'anno prima era presente Badiou. A luglio e agosto in Italia si è tenuto un festival di Pop filosofia (Pop Sophia) diretto da Umberto Curi. Un filosofo del calibro di Žižek è definito un pop-filosofo, ed è suo il merito di aver introdotto l'uso della cultura pop in filosofia. Le pubblicazione filosofiche che si occupano di pop aumentano anche in Italia, altrove sono all'ordine del giorno. Che la filosofia oggi possa legittimamente occuparsi di cultura di massa non è più dunque in discussione, per fortuna. Ora, se in questo quadro la Prof.ssa Nicla Vassalo si dichiara allergica alla pop filosofia discettando sulla differenza tra caviale reale dell'almas e caviale da discount (leggere per credere: http://www.rescogitans.it/main.php?articleid=302) non possiamo che prendere rispettosamente atto. Ciascuno sceglie il modo che preferisce per guadagnarsi galloni di distinzione intellettuale.
Derrida che cosa risponderebbe a Nicla Vassallo?
Non so cosa risponderebbe Derrida a Nicla Vassallo. So cosa rispose a me un giorno a Parigi quando gli chiesi se non fosse opportuno portare la decostruzione in altri ambiti testuali al di là di quello, pur importantissimo, della tradizione filosofica. "Tocca a voi", mi disse. D'altra parte come Derrida stesso scrisse, facendo il verso ai critici della decostruzione: "Queste persone, adepti delle teologie negative o della decostruzione, sono così perversi da rendere il loro esoterismo popolare e fashionable".
SIMONE REGAZZONI insegna Estetica presso l’università di Pavia. E’ autore, tra gli altri, dei volumi tradotti in diverse lingue: La filosofia del dr. House (co-autore), Ponte alle Grazie, 2007; Harry Potter e la filosofia, il melangolo, 2008; La filosofia di Lost, Ponte alle Grazie, 2009; Pornosofia, Ponte alle Grazie, 2010.
Nessun commento:
Posta un commento