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mercoledì 21 dicembre 2011

La crisi azzanna il ceto medio "Le famiglie a rischio povertà" - Milano - Repubblica.it

IL CASO

La crisi azzanna il ceto medio
"Le famiglie a rischio povertà"

Studio di Acli e Cattolica: persi fino a 1.800 euro di potere d'acquisto in tre anni. Problemi
anche per i nuclei con figli e con due stipendi. In picchiata i redditi dei giovani sotto i 29 anni

di ALESSANDRA CORICA

La crisi azzanna il ceto medio "Le famiglie a rischio povertà"

Sono insegnanti, impiegati e pensionati. Padri di famiglia, single e divorziati. Il ceto medio. Sempre più a rischio povertà: negli ultimi quattro anni, secondo le Acli provinciali di Milano e Monza Brianza, le loro famiglie hanno perso fino a 1.800 euro l’anno in termini di potere d’acquisto. In media, la flessione dei redditi reali (che derivano dal rapporto fra gli effettivi guadagni di una famiglia e la crescita dell’inflazione) è di meno 3 per cento. Equivalente, in media, a circa 779 euro, che i milanesi non hanno più a causa della corsa dei prezzi «e della mancanza di azioni politiche serie, che rispondano alle esigenze della popolazione — sottolinea Gianni Bottalico, presidente delle Acli provinciali — C’è bisogno di soluzioni nette che non livellino verso il basso ma permettano lo sviluppo dell’economia».

È un quadro di impoverimento generale quello che emerge dal volume “Il ceto medio: la nuova questione politica e sociale”, realizzato dalle Acli in collaborazione con il dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica. La ricerca è stata svolta analizzando le dichiarazioni dei redditi compilate tra il 2008 e il 2011 nelle sedi milanesi e brianzole dell’associazione. Risultato: a fronte di una leggera crescita dei guadagni — quelli nominali sono cresciuti del 2,5 per cento — i redditi reali sono diminuiti. A essere colpita è anche la classe media, composta da impiegati, bancari, professori, pensionati.

Le

difficoltà sono soprattutto per le famiglie che devono mantenere uno o più figli: se entrambi i genitori hanno uno stipendio, la flessione è poco al di sotto del 4 per cento, che sul conto in banca equivale a 1.122 euro in meno. Se invece a lavorare è solo il capofamiglia, le cose peggiorano ulteriormente: la perdita annuale è del 10,47 per cento. Che in termini di reddito reale equivale a una flessione di 1.822 euro. In pratica, lo stipendio medio di un professore o di un impiegato. Un’erosione difficile da frenare, visto il galoppo dell’inflazione: a Milano il carrello della spesa — tra rincari di alimentari, benzina, luce, acqua e gas — è aumentato nell’ultimo anno, secondo l’Istat, di quasi cinque punti.

Tra le fasce di età più penalizzate, quella degli under 29, la “generazione mille euro”. Che in quattro anni ha visto il suo reddito medio annuo diminuire proprio di 1.096 euro. Del resto, ricordano le Acli, sono proprio i ventenni a subire di più la crisi del lavoro: tra Milano e Monza, in 12 mesi, un ragazzo su quattro stipula più di un contratto. Precario. «Più si è giovani più si è poveri — sottolinea Bottalico — sia in termini economici sia di diritti: è sui trentenni che vengono scaricati i costi della crisi, livellando verso il basso la qualità del lavoro». E ancora: sono in difficoltà i dipendenti tra i 30 e i 39 anni (il cui reddito è calato di 1.256 euro in quattro anni) e i cinquantenni, la maggior parte delle volte a causa di cassa integrazione o mobilità.

«Eventi — spiega il presidente delle Acli — su cui il lavoratore non ha controllo, così come nel caso di malattie o disabilità. Si tratta di situazioni di fronte a cui le famiglie sono vulnerabili: per questo spesso portano alla povertà». Anche perché a fine mese mettere da parte un “cuscinetto” di risparmi è sempre più difficile. Accade, per esempio, alle famiglie monoreddito o ai single, soprattutto nel caso delle lavoratrici: a parità di età o mansioni, in media una donna guadagna 9mila euro in meno di uomo. «Troppo spesso — dice Bottalico — la politica opera lontana dalle esigenze della gente, progettando le sue azioni senza osservare quali siano le ricadute sulla popolazione. Quello che serve è uno studio dei dati reali. Anche perché se la crisi colpisce così duro a Milano e in Brianza, tradizionalmente territori floridi, i rischi di stagnazione o di recessione sono altissimi».

(21 dicembre 2011) © Riproduzione riservata

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