Uno studio su sei piccole popolazioni indigene dell'Amazzonia centrale, fra cui Yanomami, Kayapó e Xavánte, conferma un'ipotesi avanzata da tempo, ma per la quale finora scarseggiavano i dati sperimentali: quella secondo cui i cambiamenti nelle pratiche culturali possono promuovere in modo significativo l'evoluzione (red)
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Quando si considera l'evoluzione dell'uomo moderno, si presuppone solitamente che le forze evolutive che agiscono sulle popolazioni siano innescate quasi esclusivamente da cambiamenti ambientali esterni, come quelli climatici o geografici. Tuttavia, recenti studi antropologici hanno insinuato il sospetto che anche i cambiamenti nelle pratiche culturali possano promuovere in modo significativo l'evoluzione, attraverso i cambiamenti comportamentali e ambientali - fra i quali si possono far rientrare a pieno titolo quelli relativi alla presenza o all'eliminazione di eventuali barriere linguistiche - che determinano.
Gli studi specifici su questo tipo di interazione gene-cultura sono però ancora molto scarsi. Una nuova ricerca, condotta da antropologi e genetisti dell'Università federale di Rio Grande do Sul iniseme con altre università brasiliane ed europee e pubblicata sui "Proceedings of the National Academy of Sciences", permette ora di iniziare a chiarire alcuni aspetti di questo complicato rapporto.
© Ricardo Azoury/CORBIS
Alla luce dell'enorme complessità di questi studi, i ricercatori hanno ritenuto che, per riuscire a sviluppare un modello dell'effetto della cultura sull'evoluzione biologica, il punto di partenza migliore fosse l'analisi dell'influenza delle pratiche culturali sui parametri demografici e genetici di piccoli gruppi, che sono di particolare interesse anche perché gli esseri umani hanno vissuto in piccoli aggregati per la maggior parte della loro storia evolutiva.
I ricercatori si sono così concentrati sul confronto di dati genetici, fenotipici, geografici e climatici di sei popolazioni indigene (Xavànte, Kayapó, Yanomami, Kaingang, Ticuna, e Baniwa) del Mato Grosso, l'altopiano centrale dell'Amazzonia brasiliana, correlandoli ai tipi di struttura sociale, alle pratiche culturali e alle strategie di sussistenza.
Si è così rilevato che una di queste popolazioni, gli Xavànte, dal momento della separazione dal gruppo maggiormente affine, quello dei Kayapó, avvenuta circa 1500 anni fa, ha sperimentato una significativa evoluzione morfologica (in particolare craniometrica) significativa, avvenuta a un ritmo di gran lunga maggiore a quello che ci si sarebbe potuti aspettare.
Questa rapida differenziazione, osservano gli autori, non appare dovuta all'introduzione di nuovi genotipi provenienti da altre popolazioni, né indigene né tanto meno di origine europea. I cambiamenti sarebbero invece legati alle forti differenze culturali e di organizzazione sociale (valutate sula base di un ampio spettro di categorie, come alta/bassa endogamia, discendenza patrilineare, residenza patrilocale, poliginia, ecc.) che si sono sviluppate da quel momento in poi nelle due popolazioni, ripercuotendosi sui meccanismi di selezione sessuale.
"I nostri risultati - scrivono gli autori - suffragano precedenti affermazioni sulla verosimiglianza della coevoluzione di geni e cultura, rivelando spesso modelli e tassi di variazione che fuoriescono da quelli caratteristici della teoria di genetica delle popolazioni convenzionale. Le dinamiche geni-cultura sono in genere più veloci, più forti e operano su una gamma più ampia di condizioni rispetto alle dinamiche evolutive convenzionali, suggerendo che la coevoluzione geni-cultura possa costituire la modalità dominante dell'evoluzione umana."
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