È ufficiale: l' economia italiana è in calo. Nel terzo trimestre del 2011, il Pil nazionale ha registrato una diminuzione dello 0,2% rispetto al trimestre precedente (pur essendo aumentato dello 0,2% se si guarda invece allo stesso periodo del 2010, e quindi anno su anno). La notizia non giunge inattesa e coincide con le aspettative degli analisti e dei mercati internazionali, ma la conferma dell' Istat sembra in qualche modo rendere ancora più cupo lo spettro della recessione. Le stime dell' Abi, l'Associazione bancaria italiana, prevedono un calo del Pil dello 0,7% nel 2012 e una stagnazione nel 2013.
Ma cosa significano queste percentuali per il futuro prossimo dell'Italia? Niente di buono. Il Pil, il Prodotto interno lordo, è infatti l' indice più attendibile della ricchezza del Paese. Viene calcolato dall'Istat, l'istituto nazionale di statistica, e viene definito ufficialmente come la produzione totale di beni e servizi dell'economia, diminuita dei consumi intermedi e aumentata dell'Iva e delle imposte indirette sulle importazioni. In altre parole, il Pil è la somma del valore dei beni e dei servizi prodotti dalle imprese e dai lavoratori italiani, e richiesti dai consumatori e dagli utenti finali. Il procedimento di calcolo del Pil è estremamente complesso e si fonda sui dati di bilancio comunicati dalle piccole e medie imprese, delle grandi compagnie, delle banche, delle imprese di assicurazione, delle amministrazioni pubbliche, delle aziende agricole e da tutte le altre tipologie di imprese italiane. A questi dati si sommano il valore dei beni importati e una stima delle attività in nero, non dichiarate. Dal lato della domanda di beni e servizi, vengono invece calcolati i consumi dei cittadini privati e delle famiglie, gli investimenti e i costi per le imprese e per le pubbliche amministrazioni. I due valori, vale a dire l'offerta e la domanda di beni e servizi, devono sempre coincidere.
La crescita del Pil significa quindi una maggiore ricchezza per il Paese: il valore di beni e servizi prodotti e consumati aumenta, e così il reddito pro-capite dei cittadini e le tasse incassate dallo Stato. Se la produzione e i consumi diminuiscono, così di conseguenza si contrae il Pil. Quando l'aumento del prodotto interno lordo è vicino o pari allo zero, si parla di stagnazione dell'economia nazionale. Perché si possa parlare di recessione, il prodotto interno lordo deve diminuire per almeno due trimestri di seguito. Ed è proprio questo lo scenario che si prospetta per il 2012 dopo il calo del Pil registrato già nel periodo luglio-settembre 2011.
In uno scenario di recessione, solitamente, la ricchezza dello Stato diminuisce; così il reddito medio dei cittadini, mentre la disoccupazione tende ad aumentare. L'inflazione, viceversa, diminuisce perché la ridotta domanda di beni e servizi fa sì che il loro prezzo non tenda ad aumentare. Nei casi in cui l'inflazione aumenti anche in circostanze di stagnazione, si parla di stagflazione. Molti analisti ritengono che l'attuale manovra del governo Monti, pur contribuendo a riportare in pareggio il bilancio pubblico, possa incidere negativamente sull'andamento del Pil italiano, perché l'aumento di tasse e imposte grava sul bilancio delle famiglie portando a una naturale contrazione dei consumi.
Cosa fare? Sicuramente non farsi prendere dal panico. È pur vero che si prospettano ancora almeno due anni duri per il sistema Paese, e che la crisi attuale sembra sfuggire a tutte le classificazioni precedenti. Ma il ciclo economico internazionale, storicamente, ha sempre alternato periodi di recessione a momenti di crescita e sviluppo. Resta solo da vedere quanto bisognerà attendere prima della prossima ripresa.
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