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La Rete è davvero rivoluzionaria?
Strumenti come Facebook e Twitter incoraggiano l’attivismo politico? C’è chi dice no, perché creano relazioni fittizie che non smuovono le persone. C’è chi dice sì, perché offrono ai ribelli nuovi strumenti d’azione. Ecco cosa ne pensano due intellettuali statunitensi
30 dicembre 2011 di Martina Saporiti
La questione non è nuova: il Web è davvero uno strumento capace di promuovere partecipazione politica e sociale? Facebook e Twitter riescono ad accendere le rivoluzioni? Domande che qualcuno aveva già sollevato un anno fa, ancor prima che arrivassero la Primavera Araba, i rivoltosi di Londra o il movimento Occupy. Tra gli altri (oltre a Wired Italia che aveva candidato Internet a nobel per la Pace nel 2010), a dibattere sul tema c’erano due intellettuali statunitensi, che si sono lanciati in un’accesa schermaglia verbale sulle pagine di Foreign Affairs.
La miccia che ha fatto esplodere la discussione è stata accesa da Malcom Gladwell, un giornalista del New Yorker, il quale in un articolo pubblicato nell’ottobre del 2010 sosteneva che i media hanno sopravvalutato il ruolo dei social network come strumenti di attivismo politico. Basandosi su uno studio pubblicato dal sociologo Doug McAdam della Stanford University (Usa) sulla lotta per i diritti civili negli anni ‘60, Gladwell divide le relazioni sociali in due categorie: quelle strette, che sono personali e ti spingono a metterti in gioco in prima persona per gli altri, e quelle deboli, che al massimo ti portano ad accettare un’amicizia su Facebook o a seguire qualcuno su Twitter. È inutile dire che, secondo il giornalista statunitense, le prime sono le uniche capaci di trascinare la gente in piazza.
Clay Shirky, invece, è un professore della New York University (Usa) che nel suo libro Here Comes Everybody (definito dallo stesso Gladwell come la bibbia dei social media) sostiene invece l’importanza dei nuovi mezzi di comunicazione nella vita politica del mondo. In un lungo articolo pubblicato su Foreign Affairs in risposta a Gladwell, Shirky ha tirato in ballo accadimenti come l’ impeachment del presidente filippino Estrada del 2001, il blocco dell’importazione di carne bovina dagli Stati Uniti da parte della Corea del Sud dopo un caso di encefalopatia spongiforme nel 2008, la caduta del regime comunista in Moldavia nel 2009: tutti eventi in cui i social media hanno avuto un ruolo più che rilevante. Anche se Shirky riconosce che la maggior parte della comunicazione on-line è superficiale, non nega comunque le sue potenzialità sociali.
Arriviamo quindi al botta e risposta svoltosi sulle pagine di Foreign Affairs, dove i due intellettuali cercano di far valere le loro posizioni. “ Solo perché la comunicazione tecnologica si evolve, non significa che questa evoluzione sia davvero importante", scrive Gladwell, " per dirla in altro modo, se un’innovazione vuole fare la differenza, deve risolvere un problema reale. Per essere convincente, Shirky dovrebbe persuadere i suoi lettori che senza i social media tutto ciò di cui parla non sarebbe accaduto”.
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