Che l’Italia non fosse esattamente il paese del progresso e dell’innovazione, il luogo da cui poter osservare in anticipo il futuro di là la venire, lo sapevamo già. Ormai ogni informazione riguardo l’arretratezza tecnologica italiana viene accolta con blanda rassegnazione o, in molti casi, con feroce sarcasmo. Della serie: perché stupirsi ancora? Il punto, però, è che il giorno in cui si smetterà di credere che una consistente arretratezza tecnologica in un paese che ama considerarsi “ottava potenza economica mondiale” sia inaccettabile, sarà anche il giorno in cui tutto questo diventerà normale, e pertanto tollerato e accettato; sarà il giorno in cui ogni speranza di cambiamento reale troverà la sua morte naturale.
Perché scoprire che l’Italia (nonostante il leggero livello di crescita che caratterizza quasi tutte le dimensione del rapporto tra cittadini e tecnologia) occupi a tutt’oggi gli ultimi posti d’Europa quanto a diffusione e conoscenza dei mezzi tecnologici deve generare un moto d’indignazione, e non perché “altri paesi fanno meglio di noi”; non si tratta di una gara tra l’Italia e le altre nazioni, ma di una competizione tutta interna, di una partita che il paese gioca con se stesso e il proprio futuro.
E quindi poco importa davvero se la Lituania (o chi per essa) ci precede in classifica, il dramma vero non è essere fanalino di coda, ma non essere ancora riusciti a premere affinché la politica considerasse i temi del digital divide e dell’arretratezza cultural-tecnologica davvero centrali. Se poi conserviamo l’atteggiamento del perché stupirsi? o del dov’è la novità? andremo davvero poco lontano.
Ecco perché, nel presentarvi analiticamente lo studio statistico dell’Istat relativo al rapporto tra i cittadini italiani e la tecnologia nel 2011, non intendiamo aprire la consueta filippica anti-italiana, ma invitare tutti a porsi il problema e premere affinché la questione assuma maggiore rilevanza all’interno del dibattito politico. Lo sviluppo tecnologico di un paese -in questo momento- è sinonimo di sviluppo tout court, e un momento di crisi una classe politica seria non può non tenerne conto.
Beni e servizi tecnologici disponibili
Partiamo dall’analisi di un dato fisico: di quali oggetti e servizi tecnologici sono in possesso le famiglie italiane?
Rispetto al 2010 cresce la quota di famiglie che nell’anno in corso possiede un personal computer (dal 57,6% al 58,8%), l’accesso a Internet (dal 52,4% al 54,5%) e una connessione a banda larga (dal 43,4% al 45,8%).
Ma già solo osservando il grafico sottostante, un primo brivido dovrebbe correre dietro la schiena di chi auspica un futuro in cui la connessione tra gli esseri umani lungo tutto il pianeta e l’accessibilità tecnologica rappresentino priorità ineludibili. Che il televisore e il telefono cellulare siano gli oggetti tecnologici più diffusi -infatti- è del tutto comprensibile, ma il fatto che il “deconder digitale terrestre” e il “lettore DVD” precedano il computer e la “banda larga” segua il “videoregistratore” è indice di grande disattenzione rispetto al processo di cambiamento che sta investendo il mondo e di assoluta ottusità politica che, per meri interessi di casta, promuove e finanzia l’implementazione di una tecnologia vecchia e inutile (come quella digitale terrestre) e non fa nulla per alimentare la diffusione dei nuovi media.
Che genere di cittadini possiamo aspettarci di diventare se veniamo isolati dal luogo in cui circolano le informazioni e gli esseri umani entrano in contatto tra loro, condividendosi, in barba alle distanze?
Come dimostra la copertina del Time, e come abbiamo avuto modo di raccontare nell’articolo riguardante la centralità di Twitter in questo 2011, le persone che non hanno avuto modo di entrare in contatto con le nuove tecnologie hanno capito davvero pochissimo degli eventi che hanno caratterizzato l’anno appena trascorso. Della Primavera Araba, e dei vari movimenti spontanei che hanno contestato alla radice il sistema economico neo-liberista, i vecchi media hanno raccontato poco e male rispetto al tanto che si è visto in rete, il che rende sociologicamente comprensibile il perché l’Italia sia stata meno coinvolta di altri paesi all’interno dell’ondata di protesta.
Ma, naturalmente, la disponibilità di beni e servizi non è che un primo indice dell’arretratezza cultural-tecnologica del Bel Paese, che -malgrado una crescita lenta e costante- non pare in grado di fare un deciso balzo in avanti.
Disponibilità di un accesso a Internet casalingo – Confronto tra le nazioni Europee
Rispetto alla disponibilità di un accesso a Internet casalingo il podio europeo è composto da Olanda, Svezia, Lussemburgo, mentre a chiudere la classifica ci sono Grecia, Romania e Bulgaria. L’Italia, come mostrato dal grafico sottostante, si accontenta del sestultimo posto, con un divario tecnologico relativo al territorio e alle differenze sociali che, rispetto al 2010, rimane stabile per quasi tutti i beni e servizi considerati: le famiglie del Centro-nord che dispongono di un accesso a Internet sono oltre il 56%, mentre circa il 49% dispone di una connessione a banda larga, a fronte di valori pari, rispettivamente, al 48,6% e al 37,5% nel Sud.
Le famiglie con almeno un minorenne, invece, risultano le più tecnologiche: l’84,4% possiede un personal computer, il 78,9% ha accesso a Internet e il 68% utilizza per questo una connessione a banda larga. All’estremo opposto si collocano le famiglie di soli anziani di 65 anni e più, che presentano livelli modesti di dotazioni tecnologiche.
Se poi consideriamo la banda larga, la situazione peggiora. Il podio europeo, in questo caso, cambia leggermente la sua conformazione, così che troviamo la Svezia a capeggiare e la Danimarca e l’Olanda a seguire. A chiudere, invece, ritroviamo il medesimo terzetto composto da Grecia, Bulgaria e Romania ma -stavolta- l’Italia precede di poco il trittico della vergogna tecnologica piazzandosi al quartultimo posto.
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Ragionando di classi sociali, le statistiche Istat, inoltre, evidenziano che se si confronta la disponibilità di personal computer, di un accesso a Internet e di una connessione a banda larga, il divario tra i nuclei in cui il capofamiglia è un operaio e quelli in cui è un dirigente, un imprenditore o un libero professionista è di circa 24 punti percentuali a favore di questi ultimi.
Ma esiste anche un altro dato che deve essere preso in grande considerazione. A parte la disattenzione della politica e delle istituzioni, c’è da valutare un certo grado di disinteresse per l’innovazione tecnologica che deriva -essenzialmente- dalla convinzione che gli strumenti della contemporaneità siano sostanzialmente superflui, un lusso di cui è possibile fare a meno. I dati Istat mostrano infatti che il 41,7% delle famiglie dichiara di non possedere l’accesso a Internet perché non ha le competenze per utilizzarlo; il 12,7% non ha accesso a Internet da casa perché accede da un altro luogo, l’8,5% perché considera costosi gli strumenti necessari per connettersi e il 9,2% perché ritiene eccessivo il costo del collegamento ma il dramma è che ben il il 26,7% considera Internet inutile e non interessante.
Dati sulla navigazione in Internet
Rispetto a questa questione specifica, sebbene anche qui si noti una crescita piuttosto lenta, non si riscontrano dati particolarmente allarmanti, nel senso che gli internauti crescono sia per numero che per qualità di utilizzo; la differenze d’uso in base al genere sessuale e alla classe sociale si assottigliano (arrivando in molti casi ad annullarsi) e il trend generale segue una dinamica tutto sommato positiva: nel 2011 il 52,2% della popolazione di 3 anni e più utilizza il personal computer e il 51,5% della popolazione di 6 anni e più naviga su Internet. Rispetto al 2010 l’utilizzo del personal computer è cresciuto di 1,2 punti percentuali e quello di Internet di 2,6, confermando così il trend crescente che continua ormai dal 2008. Le differenze di genere si vanno attenuando nel tempo: se nel 2005 le donne internaute erano poco più di un quarto (26,9%), nel 2011 sono quasi la metà (il 46,7%), a fronte di una quota di uomini pari, rispettivamente, al 37,1% e 56,6%. Fino ai 34 anni le differenze di genere sono molto contenute e tra i ragazzi di 11 e 19 anni si registra il “sorpasso” femminile. Nell’ultimo anno le differenze sociali sono rimaste sostanzialmente stabili, anche se gli operai hanno fatto registrare incrementi percentuali leggermente superiori a quelli riscontrati tra dirigenti, imprenditori, liberi professionisti, e direttivi e quadri.
Qualità e tipo d’uso della rete Internet
Rispetto alle operazioni basilari, l’alfabetizzazione tecnologica italiana procede. Il livello di consapevolezza del mezzo non è straordinario ma, se si considera che il dato generale tiene conto della totalità degli internauti siamo all’interno di canoni più o meno dignitosi. L’85,4% degli intervistati dichiara di non avere difficoltà a copiare o spostare un file, l’85,1% sa copiare informazioni all’interno di un documento, ma soltanto il 13,7% sa scrivere un programma per computer e il 28,1% sa installare un nuovo sistema operativo o sostituirne uno vecchio.
Rispetto, invece, al genere di utilizzo che gli italiani fanno della rete si scopre che la stragrande maggioranza se ne serve per spedire o ricevere e-mail (80,7%) e per cercare informazioni su merci e servizi (68,2%). Una leggera impennata la si riscontra nel numero di internauti che si servono della rete per per leggere news o giornali online (+7 punti percentuali), per informarsi su merci e servizi (+5,4) e avere informazioni sanitarie (+5).
Il 26,3% degli individui di 14 anni e più che hanno usato Internet nei 12 mesi precedenti l’intervista ha ordinato e/o comprato merci e/o servizi per uso privato, soprattutto per spese per viaggi e soggiorni e pernottamenti per vacanza.
Quasi la totalità delle persone di 6 anni e più che utilizzano Internet sa usare un motore di ricerca (94,2%) e una quota molto elevata sa spedire e-mail con allegati (83,1%). Oltre la metà degli utenti della rete sa trasmettere messaggi in chat, newsgroup o forum di discussione online (52,7%) e il 41,3% sa caricare testi, giochi, immagini, film o musica, ad esempio, su siti di social networking.
Se poi si indaga sul “come” i cittadini italiani abbiano acquisito le competenze che hanno si scopre che la maggior parte ritiene di dover tutto alla pratica (75,9%) unitamente al supporto ottenuto da colleghi, parenti e amici più esperti (68,7%).
Conclusioni
Come dichiarato in apertura, l’obiettivo di quest’analisi non era certo quello di sparare sulla Croce Rossa, sottolineando l’ovvio e ribadendo autisticamente quel che -purtroppo- è noto a tutti. Il punto è andare oltre la consapevolezza, oltre l’indignazione e cominciare a fare qualcosa. Sul fronte politico, occorre che le questioni del digital divide, della net neutrality e dell’accesso democratico all’innovazione tecnologica diventino “urgenti” e la classe politica, per stessa sua natura, reagisce in base alla spinta della società civile. Certo, per riuscire a far pressione su questa classe politica esistono due ordini di possibilità: o entra in gioco un qualche interesse di casta o gli italiani si mobilitano in massa e si assumono la responsabilità di dettare l’agenda. Rispetto a queste strade, mi pare sia superfluo dissertare su quale sia quella più giusta da percorrere, l’altra è di certo più breve ma -in genere- porta ad aberrazioni che ben conosciamo.
Esiste, però, anche un altro fronte: quello dell’impegno civico, dell’intraprendenza, dell’iniziativa personale. Sarebbe doveroso che gli eletti dal popolo si preoccupassero di salvaguardane gli interessi e preservarne il futuro ma, se questo non accade, non restano che due cose da fare.
La prima: assumersi la responsabilità di innescare circoli virtuosi, facendo innovazione, creando opportunità, realizzando progetti, senza attendere di essere “assistiti” da qualcosa o qualcuno, senza crogiolarsi troppo nel fatto (pur drammaticamente reale) che l’Italia sia un paese distratto e ignorante riguardo le questioni tecnologiche.
La seconda: licenziare appena possibile i governanti che non hanno assolto ai propri doveri e scegliere una classe politica nuova, capace, affidabile.
Se questo non viene fatto, allora l’indignazione è fine a se stessa, la protesta è puro lamento, e l’unica conclusione possibile è che l’Italia possiede ciò che merita. Nulla di più.
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