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lunedì 26 dicembre 2011

Tutto ciò che sa fare un fotone - Wired.it

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Copre sempre maggiori ambiti della vita quotidiana: dopo secoli di studi e ricerche, che in molti casi si completavano senza smentirsi, l’avvento della teoria quantistica ha aperto un mondo sulle sorprendenti proprietà della luce. Oggi è possibile tirare le somme, almeno qualcuna, sulle possibili applicazioni dei fotoni, le particelle ormai superate - forse - dai neutrini: lo ha fatto Sidney Perkowitz, docente emerito di fisica della Emory University di Atlanta, autore di centinaia di pubblicazioni – articoli, libri, contributi, spesso destinati anche ad una platea non professionale –, consulente delle maggiori agenzie statunitensi e finanche di governi e industrie. Perkowitz, membro della American Association for the Advancement of Science, ha individuato alcuni degli ambiti in cui lo studio della luce ha consentito progressi epocali per la società, dalla straordinaria dei potenza dei computer quantistici agli utilizzi nel campo dell’ ottica.

Senza carica elettrica né massa, oggi si conosce abbastanza del fotone (o quanto di energia) per poter cominciare a sfruttarne le proprietà: può essere utilizzato, per esempio, al posto degli elettroni per un chip di vetro che può costituire uno degli elementi fondamentali per la realizzazione dei computer quantistici ottici. Uno degli ultimi passi avanti è stato compiuto da un gruppo di ricercatori italiani dell’ Università La Sapienza di Roma , del Politecnico di Milano e dell’Istituto di fotonica e nanotecnologie del Cnr, i cui dettagli sono stati pubblicati sulla rivista britannica Nature Communications.

Al computer quantistico, in cui gli elettroni sono sostituiti dalla luce, fa riferimento anche Perkowitz, nella sua disamina pubblicata su New Scientist: ricordando il paradosso del gatto di Schroedinger (un esperimento mentale atto a dimostrare che l’interpretazione classica della meccanica quantistica risulta incompleta quando deve descrivere sistemi fisici in cui il livello subatomico interagisce con il livello macroscopico), il fisico americano richiama la stima di Alan Aspuru-Guzik della Harvard University. E cioè: un computer quantistico di soli 150 qubit o quantum bit – una diversa unità di informazione che a differenza degli elettroni possono essere 0 e 1 allo stesso tempo – avrebbe una potenza di elaborazione pari a quella di tutti i supercomputer odierni messi insieme. In questo campo si attendono ulteriori progressi: nel 2010, un gruppo di ricercatori americani e australiani, tra cui Aspuru-Guzik, ha manipolato la polarizzazione e l’ entanglement di una coppia di fotoni per creare un computer minimalista a due qubit. Dopo molti test, il computer ha calcolato i livelli di energia della molecola dell’idrogeno con una precisione di una parte per milione ( Nature Chemistry).
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