Per Karl Popper, l’idea filosofica del linguaggio partorita dal Wittgenstein, non era altro che un barlume di una parabola discendente.
A giudicare dai risvolti storici, l’interesse novecentesco per il linguaggio rappresenta ciò che di più sbiadito la filosofia potesse lasciarci in eredità.
Un’involuzione recondita. Una vetrina buia ed obliosa, destinata a far da contorno ad un mondo divenuto, ormai, troppo complesso, anche per i filosofi.
Popper aveva ragione. Lo studio del linguaggio non poteva, né doveva essere accostato ai grandi temi della filosofia.
Tuttavia, l’opinione espressa dal Popper apparve opportuna ed attuale fino a che i mass media glielo concessero. Dopodichè il mondo cambiò. Le mode cambiarono.
Oggi, la nostra società non è soltanto “aperta”, ma anche edulcorata dai sublimi linguaggi della tecnologia.
Da un punto di vista evoluzionistico e non solo, il linguaggio, leitmotiv di un mondo interattivo, esprime variopinti retaggi d’immagini e parole storicamente complessi.
Per molti antropologi, il linguaggio è il simbolo dell’evoluzione umana. Da sempre la scienza si è interrogata sulle cause di una simile capacità intellettiva. In particolare, gli studiosi hanno tentato di comprendere le ragioni per le quali lo sviluppo del linguaggio abbia riguardato soltanto l’uomo e non anche le scimmie.
Di recente, un gruppo di ricercatori del Dipartimento di Psicologia e di Biologia Evolutiva e Funzionale dell’Università di Parma, ha dimostrato che anche le scimmie possiedono neuroni in grado di attivarsi durante la vocalizzazione.
Secondo Gino Coudè, ricercatore canadese e promotore di questa ricerca, i neuroni del linguaggio risiederebbero nella corteccia premotoria ventrale del macaco: “Lo studio è stato particolarmente lungo e difficoltoso perché in genere le vocalizzazioni delle scimmie sono di natura emozionale, quindi emesse in situazioni di stress, pericolo ed eccitazione.
Noi abbiamo sfruttato questa loro tendenza spontanea e abbiamo incentivato, attraverso il cibo, le vocalizzazioni. Dopo alcuni mesi le scimmie dimostravano di essere in grado di avere un controllo, seppur parziale, dei versi”.
Questo primo esperimento è stato il preludio di una ricerca che poi si è rilevata tanto complessa quanto sintomatica. Coudè e gli altri ricercatori hanno potuto rilevare che i neuroni del linguaggio, definiti coo-calls e di norma emessi in presenza di cibo, in realtà non si attivavano sempre allo stesso modo.
Secondo Pier Francesco Ferrari, collaboratore di Coudè: ” Questo studio rappresenta un punto di rottura con la visione teorica dell’evoluzione del linguaggio e ci permette di comprendere le ragioni per le quali nelle scimmie le strutture neurali della corteccia cerebrale deputate al controllo della faccia e della laringe abbiano un ruolo nel controllare la fonazione, sebbene di minore importanza rispetto all’uomo”.
Antonio Migliorino
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