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sabato 24 dicembre 2011

Il Legno storto, quotidiano online - Politica, Attualità, Cultura - Un granello di senape nei solchi della storia. Riflessioni in occasione del Natale (I)

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Si è visto come la sua [di Rosmini] posizione di pensiero sia tale da esigere per essere intesa una completa revisione degli schemi di periodizzazione della storia della filosofia; e uno degli svolgimenti possibili della “Teosofia” sarebbe di scrivere una storia della filosofia secondo le categorie che essa formula, compito indispensabile, se segno della verità di una filosofia è rendere conto delle forme di pensiero diverse da essa.
Augusto Del Noce

Sr. Michela, che da anni lavora in terra africana, mi disse poco tempo fa che la scuola sta rovinando l’Africa. Infatti si sta diffondendo tra la popolazione africana, soprattutto femminile, il “culto del pezzo di carta”, come mezzo di elevazione sociale, mentre di fatto l’istruzione di basso livello impartita in scuole sovraffollate non fa che nascondere dietro una verniciatura superficiale la perdita di patrimoni preziosi di civiltà, di costume e di sapienza, che costituivano la vera ricchezza culturale della popolazione africana, ai quali le nuove generazioni rinunciano irresponsabilmente senza rimpianti.

Mutatis mutandis già cent’anni fa qualcuno aveva osservato che la scuola stava rovinando l’Europa. Anche qui il culto dei titoli di studio e dell’inserimento nella “classe colta” d’Europa significava spesso la perdita della sensibilità e della saggezza che secoli di civiltà cristiana avevano lasciato in eredità alle nuove generazioni, spensieratamente prodighe dei propri tesori.

Certamente non era questo un difetto della scuola in quanto tale, ma di una scuola in cui l’intellettualismo unilaterale aveva inaridito le fonti della vita, quasi che quest’ultima dovesse essere al servizio di quella, e non viceversa. Così alle intuizioni prime e fondamentali dello spirito veniva forzatamente sostituita un’immagine artefatta della realtà, in cui la divisione delle discipline e delle cattedre scolastiche proiettava la propria disintegrazione sul mondo reale e l’intima vita dell’anima veniva come lacerata tra sentimento e pensiero, vita e scienza, sacro e profano.

Nei cent’anni trascorsi dalle prime denunce della tendenza malsana della scuola moderna molto è stato tentato per risanare questa situazione: scuola attiva, metodo naturale, metodo montessoriano, scautismo, descolarizzazione: molteplici esperienze preziose, sempre animate da uno spunto critico nei riguardi di un’istituzione che minacciava di trasformarsi in un meccanismo burocratico ostile alla vita reale della persone. Ma nonostante la buona volontà di molti, sembra che il principio burocratico dello stato moderno riesca sempre a prevalere sulle migliori iniziative, tanto che alcune di esse - come la scuola montessoriana - attraversano attualmente una crisi molto simile ad una lenta agonia.

Uno degli aspetti più gravi della disintegrazione spirituale dell’uomo moderno è la separazione tra vita religiosa e vita civile, separazione simboleggiata dalla reciproca scomunica del mondo moderno da parte di Pio IX e di Pio IX da parte del mondo moderno. Anche qui non sono certamente mancate le iniziative generose, volte a ricucire lo strappo. Il segno più vistoso di questa volontà di superamento della tragica divisione è stato certamente il Concilio Vaticano II, del quale qui vorremmo proporre un’interpretazione ispirata a quanto c’è di più sano, e in un cero senso di più tradizionale, nell’hegelismo: la conciliazione degli opposti.

Se pensiamo alla Chiesa di Pio IX come alla tesi e al mondo laico liberarle come all’antitesi, il Concilio Vaticano II potrebbe essere la sintesi, o meglio l’aspirazione a una sintesi di essi. Come ogni vera sintesi, quella che si vorrebbe raggiungere non dovrebbe sacrificare nulla di quanto c’è di valido nelle due tesi. Indubbiamente la lettera di certi documenti conciliari potrebbe sembrare smentire documenti più antichi. Così una delle polemiche sollevate dai tradizionalisti anticonciliari riguarda la dottrina sulla libertà religiosa, che nel Concilio apparirebbe diversa, e in qualche aspetto contraddittoria, rispetto ad affermazioni magisteriali precedenti. Ma ai tradizionalisti bisognerebbe ricordare che, per quanto riguarda la morale, cioè la dottrina degli atti umani degli individui e delle istituzioni, esistono due realtà complementari: da una parte c’è certamente una scienza morale, ma dall’altra c’è la consapevolezza che in questo campo non si può dare una scienza come le altre, che cioè abbracci tutto il relativo ambito di realtà. E ciò per un fatto esplicitamente ricordato da S. Tommaso e dagli altri grandi teologi: le scienze per loro natura si riferiscono a realtà universali non soggette a mutamento, mentre le azioni dell’uomo sono sempre particolari e variano infinitamente a seconda delle circostanze individuali, sociali e storiche. Perciò la scienza morale deve essere necessariamente completata e come integrata da una virtù preziosissima, che ha la funzione di fare da tramite tra le conoscenze universali e le circostanze storiche particolari: la virtù della prudenza.

Purtroppo nelle lingue moderne la parola “prudenza” ha perso il suo senso classico originario, per acquisirne uno che gli è in gran parte estraneo. Nel linguaggio scolastico tradizionale la prudenza era una virtù intellettuale rivolta alla giusta valutazione delle azioni umane: “recta ratio agibilium”. E’ vero che le azioni umane sono particolari e quindi varie e mutevoli, ma in esse si trovano sempre molteplici relazioni a conoscenze universali. Ora è ovvio che chi ha più esperienza della vita saprà scorgere meglio le somiglianze di una situazione particolare con altre circostanze analoghe, vissute personalmente o conosciute tramite testimonianze personali o storiche: saprà cioè meglio leggere l’universale presente nel particolare. Dunque la prudenza è soprattutto una virtù degli anziani che hanno vissuto una vita virtuosa, illuminata dalla conoscenza e dalla riflessione. La virtù corrispondente dei giovani sarà perciò la docilità, cioè, secondo l’etimologia, la “docibilità” - virtù che purtroppo invece spesso manca ai giovani, in modo più accentuato ai giovani di oggi, perché ancora avvelenati dal giovanilismo sessantottino - ma spesso anche per la scarsità di anziani virtuosi e illuminati.

Alla luce di quanto detto, bisogna dunque distinguere nell’insegnamento della Chiesa i principi immutabili che sono oggetto di scienza dalle valutazioni prudenziali, che non sono oggetto di scienza perché risultano dall’applicazione dei principi immutabili alla realtà particolare e storica mutevole. Ora è evidente che la diversissima situazione storica del tempo di Pio IX rispetto al mondo attuale non solo giustifica, ma assolutamente richiede un’applicazione dei principi immutabili della Chiesa che sia conforme alla nuova realtà, e ciò in base non ad una scienza dell’universale, ma alla virtù intellettuale-pratica della prudenza, per sua natura riferita al particolare. Niente di più conforme alla dottrina di S. Tommaso d’Aquino.

Tornando ora all’auspicata sintesi, bisogna riconoscere che per molti essa è stata intesa piuttosto come uno svuotamento della tesi a favore dell’antitesi, e quindi un abbandono degli elementi validi e irrinunciabili di essa. Altri, alla vista di questa falsa sintesi così apparentemente prevalente, hanno denunciato come impossibile e falso lo stesso tentativo di una sintesi, rifiutando o mortificando, in tal modo, gli elementi validi dell’antitesi.

In questo dissolvimento-irrigidimento l’auspicata sintesi appare sempre più chimerica, e ciò si risolve in un tragico aggravamento della disintegrazione spirituale dell’uomo di oggi.

In questa situazione, al fine di meglio comprendere la realtà che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo, forse potrebbe essere salutare rivedere gli schemi storico-filosofici abituali: essi sono infatti un’eredità del liberalismo ottocentesco che per inerzia dell’abitudine quasi nessuno pensa a mettere seriamente in discussione; e d’altra parte si potrebbe sostenere con ottime ragioni che l’irrigidimento mortifero di detti schemi è uno degli aspetti più gravi di una scuola lontana dalla vita e dalla storia, e dalla vita perché dalla storia.

Ora l’opera di revisione che qui propongo, e di cui intendo dare un primo possibile orientamento, a mio umile giudizio costituirebbe un contributo sostanziale e indispensabile a quel progetto o programma di sintesi - perché mi sembra di poter dire che di progetto o di programma si tratta, e non di compiuta realizzazione - che costituisce l’anima segreta del Concilio Vaticano II.

* * *

Non credo di errare nell’affermare che spetta ad Augusto Del Noce il merito di aver avanzato per primo con lucidità, accompagnata da non comune erudizione, la proposta di una revisione sostanziale della storia della filosofia moderna e contemporanea. Il discorso che qui vorrei introdurre infatti fa riferimento soprattutto alla sua vasta opera storiografica. Personalmente non posso vantare un’erudizione paragonabile alla sua, ma penso che, una volta acquisiti i risultati eccezionali da lui raggiunti, i nuovi elementi che risultano da esperienze ulteriori, che egli non ha potuto fare, per quanto imperfette e limitate, permettano un approfondimento e uno sviluppo notevole della sua prospettiva. Le novità che così si introducono nel discorso da lui impostato non sono di scarso peso, e, se pure esse finiscono per correggere notevolmente alcune sue vedute, possiamo ben credere che i risultati raggiunti per questa via avrebbero riscosso la sua piena approvazione.

Come è noto a chi ha frequentato la sua opera, Del Noce non accetta l’affermazione - così caratteristica della storiografia filosofica ereditata dal liberalismo ottocentesco - che il carattere precipuo della filosofia moderna sia la sua opposizione all’eredità medievale e teologica, e quindi il suo carattere essenzialmente laico. Questo giudizio, contestato da Del Noce, è condiviso sia dalla storiografia laica sia da quella cattolica, ed è noto il tema di fondo dell’opera del Padre Cornelio Fabro “Introduzione all’ateismo moderno”, secondo il quale tutta la filosofia moderna sarebbe essenzialmente atea.

Contro questa visione, universalmente diffusa, Del Noce si adopera a rimettere in luce una tradizione di filosofia cristiana nell’età moderna che non può in alcun modo essere considerata secondaria e perdente, contando essa i nomi di pensatori quali Cartesio, Pascal, Malebranche, Vico, Gerdil. Mentre sui primi tre - e su molti altri - Del Noce ha svolto ricerche accuratissime, che gli meritano un posto di primo piano tra gli studiosi e gli interpreti di quel periodo storico, all’ultimo ho personalmente dedicato, in anni un po’ lontani, un lavoro di un certo spessore, dal titolo “Giacinto Sigismondo Gerdil e la filosofia cristiana dell’età moderna” (Roma, 1991), che aveva l’ambizione di colmare una lacuna importante nell’opera di Del Noce - il quale fece a tempo a leggere e ad approvare il dattiloscritto dell’opera.

Il fatto stesso che il nome del Gerdil sia per lo più ignoto, mostra come questa linea di ricerca storiografica sia innovativa rispetto alla tradizione. Del Noce del resto non si ferma qui, ma continua a seguire il percorso storico della filosofia cristiana nell’età contemporanea, fino a Gioberti e a Rosmini, per il quale ultimo mostra una particolare simpatia. Opportunamente una pregevole raccolta dei suoi scritti sull’argomento, pubblicata a Milano nel 1992, porta il titolo: “Da Cartesio a Rosmini”.

Ma qual è il pensiero profondo che anima tutta la ricerca di Del Noce? Penso che si possa riassumere nell’idea che l’ateismo non è un carattere proprio della filosofia moderna, se non nel senso che, a partire del Seicento, questa figura appare nella società come presenza viva, e tale da influenzare le masse. Ora ad essa la filosofia risponde in modo non univoco: da una parte si diffondono nel pensiero occidentale dottrine eterodosse, che vanno dal panteismo, alla magia, allo scetticismo, all’ateismo; dall’altra il pensiero ortodosso reagisce riaffermando, in modo nuovo e creativo, la tradizione metafisica cristiana. Così Cartesio oppone al panteismo rinascimentale una visione desacralizzata del mondo, al fine di assicurare l’assoluta trascendenza di Dio, e nel medesimo tempo, partendo dalle stesse premesse degli scettici e dei libertini, riafferma le certezze supreme, religiose e gnoseologiche allo stesso tempo, della conoscenza umana e scopre un livello ontologico superiore nell’interiorità dell’uomo, sede di autocoscienza, di libertà e di contatto con l’infinito.

Malebranche a sua volta ritrova la tradizione platonico-agostiniana nell’universo cartesiano, riaffermando in modo nuovo, dopo la critica pascaliana, l’umanesimo cristiano. Ma i filosofi francesi - Cartesio, quanto Pascal, quanto Malebranche - pur riaffermando i principi teisti e cristiani nell’interiorità umana - avevano poi abbandonato l’ambito della storia e della politica allo scetticismo e all’immoralismo dei libertini. Toccherà dunque alla filosofia italiana del Settecento estendere alla storia, con Vico, e alla politica, con Gerdil, la fecondità delle intuizioni metafisiche dei filosofi francesi.

Nell’Ottocento la filosofia clericale italiana continuerà a sviluppare i temi svolti dai loro predecessori, opponendo alle derivazioni eterodosse del cartesianesimo - rappresentate prima dall’Illuminsmo, poi dall’hegelismo e dai suoi sviluppi - una metafisica teista che attualizza la tradizione cristiana nel solco nel cartesianesimo ortodosso, fino a condizionare - in un’opposizione a volte relativa a volte decisa - da una parte il rinascente tomismo e il medievalismo cattolico, dall’altra l’immanentismo e l’ateismo di derivazione hegeliana.

Non è questa la sede per entrare in un discorso analitico su questa revisione storiografica. Mi limito perciò a rimandare alle opere di Del Noce, e in particolare al volume sopra ricordato “Da Cartesio a Rosmini”. Ciò che mi preme ora rilevare è lo sviluppo ulteriore, e anche la correzione, che successive ricerche mi hanno suggerito di dover apportare alla rivisitazione delnociana della storia della filosofia moderna e contemporanea.

Cercherò di svolgere questo punto nelle due successive parti di questo saggio.

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